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Bambini oppositivi? Trasformare il disturbo oppositivo provocatorio in crescita con la negoziazione

Bambini oppositivi? Trasformare il disturbo oppositivo provocatorio in crescita con la negoziazione

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  • Edunauta.it

  • Pubblicato il : 11/06/2025
  • apprendimento significativo, competenze educative, relazione docenti studenti,

Quando dire “no” è una richiesta d’aiuto

Ci sono momenti, nel percorso educativo, in cui ci sembra di perdere il filo. Ogni richiesta scatena una protesta, ogni proposta un rifiuto. Ti sei forse ritrovato davanti a un bambino o un ragazzo che sembra dire “no” per principio, che mette in discussione ogni regola, che sfida con lo sguardo prima ancora che con le parole. Allora può nascere un sentimento di forte frustrazione, la tentazione di opporsi e imporsi più severamente, ma può anche essere un’occasione per porsi delle domande: “Ma perché lo fa? Cosa sta cercando di dirmi?”

In quei “no” urlati, ripetuti o anche solo sussurrati con lo sguardo basso, c’è molto più di una semplice opposizione. C’è spesso un grido inascoltato, una richiesta disperata di essere visti per davvero. Dietro a ogni comportamento che ci provoca, che ci mette alla prova, si nasconde un bisogno che non trova parole: un bisogno di esistere, di contare, di essere riconosciuti anche nelle emozioni più scomode.

Educare bambini oppositivi non è solo una questione di strategie, di coerenza o di fermezza, ma è, prima di tutto, un invito a cambiare prospettiva: a passare dal controllo alla relazione, dall’imposizione all’ascolto attivo, dalla reazione impulsiva alla negoziazione autentica.

In questo articolo vogliamo accompagnarti dentro questo cambio di sguardo: scopriremo cos’è il disturbo oppositivo provocatorio nei bambini, cosa significa negoziare davvero con un figlio o un alunno, e perché il conflitto – se accolto con intelligenza e presenza – può trasformarsi in uno dei luoghi più fertili della crescita.

Cos’è il disturbo oppositivo provocatorio nei bambini

L’opposizione nei bambini può essere un tratto passeggero dell’età, un modo per affermare la propria volontà, sperimentare il confine tra sé e l’altro. Però, ci sono situazioni in cui questo “no” non si placa, diventa uno stile, una lotta quotidiana, un’urgenza interiore che trasforma ogni richiesta in conflitto. È qui che possiamo parlare di disturbo oppositivo provocatorio (DOP).

Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è classificato nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) come un disturbo del comportamento caratterizzato da un pattern ricorrente di umore collerico e polemico, comportamento provocatorio o vendicativo, della durata di almeno sei mesi. I bambini con DOP tendono a manifestare frequentemente ostilità verso le figure adulte, a sfidare apertamente le regole, a incolpare gli altri per i propri errori e a perdere facilmente il controllo.

Fermarsi alla definizione clinica, però, rischia di chiudere la porta all’ascolto. Perché spesso, dietro quei comportamenti apparentemente “insopportabili”, c’è una verità più profonda: una lotta per esistere. Come ci ricorda il prof. Marco Vinicio Masoni, psicoterapeuta e formatore nei percorsi dedicati alla negoziazione educativa, “viviamo in un tempo in cui i ragazzi – bombardati da aspettative, modelli irraggiungibili e identità precarie – sentono il bisogno disperato di difendere se stessi”. Questa riflessione è emersa con decisione nel ciclo di incontri del progetto 4x4 Fuoristrada Educativi, promosso dalla Fondazione Passo dopo Passo… Insieme, a cui anche Edunauta ha avuto il privilegio di partecipare, contribuendo a diffondere una cultura educativa più consapevole.

Infatti, etichettare un bambino come “oppositivo”, “provocatorio” o “problematico” può diventare una scorciatoia comoda e pericolosa, una sorta di resa educativa. Quasi a dire: “È lui che è fatto così, io non posso farci nulla”. Ma questo atteggiamento non solo deresponsabilizza l’adulto, ma squalifica profondamente il bambino, riducendolo a un’etichetta che rischia di diventare destino.

Come adulti, come educatori, non possiamo lavarci le mani quando un bambino ci mette alla prova. Al contrario, proprio i ragazzi più “difficili” sono quelli che più hanno bisogno della nostra presenza, della nostra fiducia, della nostra capacità di vedere oltre il comportamento e riconoscere l’essere umano che c’è dietro. Etichettare è una scorciatoia che chiude, educare è un atto che apre, che rimane, che insiste.

Come ci insegna Passo dopo Passo... Insieme, è nostro compito tornare a fare spazio alla complessità dei bambini e ragazzi, anche quando quella complessità ci spaventa o ci mette in crisi. Proprio lì si gioca la responsabilità educativa: non nel pretendere che il bambino sia diverso, ma nel chiederci cosa possiamo fare noi per accompagnarlo davvero.

Perché punizioni e comandi non funzionano

Quando ci troviamo di fronte a un bambino che urla, sfida, rompe le regole, il nostro primo impulso – naturale, umano – è reagire con un comando, con un avvertimento, con una punizione e magari perdere la pazienza. È come se dicessimo: “Ora basta, ti metto un limite perché tu capisca che così non va.”

Eppure, in molti casi, questo approccio non fa che peggiorare la situazione. Il conflitto si acuisce, il comportamento si irrigidisce, e quella che era una provocazione si trasforma in una lotta quotidiana. Perché?

Nel percorso formativo del progetto 4x4 Fuoristrada Educativi il dott. Marco Vinicio Masoni ci ha aiutati a riconoscere un paradosso educativo potente: non possiamo cambiare l’altro ordinandogli il cambiamento. O meglio: possiamo farlo solo se usiamo il potere e la coercizione, ma nel concetto di educazione, come lo intendiamo qui, la violenza non è un’opzione. Inoltre, il cambiamento guidato dalla paura, è un cambiamento labile e spesso solo apparente. E allora, cosa ci resta?

Ci resta il cambiamento di noi stessi.

Secondo Masoni, “I comportamenti problematici sono spesso una forma di difesa dell’identità: se io sono ‘quello che si oppone’, è così che riesco a essere riconosciuto”. E quando l’adulto, di fronte a quella sfida, reagisce sempre allo stesso modo – rimprovero, minaccia, punizione – non fa che confermare quell’identità. È una forma involontaria ma potentissima di rinforzo: “Se mi tratti come il problema, allora io continuerò ad esserlo”.

Invece, la vera trasformazione educativa accade quando l’adulto smette di giocare “al gioco del problema” e introduce una nuova variabile: se stesso.

Cambiando il proprio modo di reagire, di porsi, di parlare, l’adulto smette di essere il “nemico da sfidare” e diventa il ponte attraverso cui il bambino o il ragazzo può sentirsi finalmente accolto, visto in modo nuovo.

Questo non significa rinunciare alle regole, ma cambiare la postura con cui le proponiamo. Significa chiederci e poi chiedere al bambino o al ragazzo stesso: “Come posso esserci io, in modo diverso, perché tu non senta più il bisogno di opporti?”.

Un’educatrice che ha partecipato ai focus group del progetto racconta: “Ho capito che se voglio aiutare davvero i miei studenti, devo smettere di vedere solo il comportamento. Devo chiedermi: cosa mi stanno dicendo con quello che fanno? E poi: cosa posso cambiare io?”.

Non si tratta di essere deboli. Al contrario: ci vuole molto più coraggio a cambiare se stessi che a impartire un ordine. Ma quel coraggio può aprire la strada a un cambiamento autentico e condiviso.

La negoziazione come chiave educativa: un cambio di sguardo

Se i comandi non funzionano e le punizioni irrigidiscono, rischiando di portarci all’abuso dei mezzi di correzione e disciplina, cosa ci resta? La risposta è semplice a dirsi, ma rivoluzionaria da agire: negoziare.

Attenzione, però, negoziare non significa cedere, non è “lasciare fare” per stanchezza, né accordarsi con un figlio o uno studente per evitare il conflitto. Come ci ricorda Marco Vinicio Masoni, la negoziazione è una forma matura di relazione educativa, dove entrambe le parti crescono, dove non si impone, ma ci si trasforma.

È una proposta che richiede all’adulto di cambiare per primo. Non per rassegnazione, ma per scelta consapevole. “Non posso ottenere un cambiamento nell’altro – dice Masoni – se prima non sono disposto ad agire un cambiamento in me stesso”.

Ecco allora un piccolo vademecum pratico, frutto degli incontri promossi da Fondazione Passo dopo Passo... Insieme, che può accompagnare genitori, insegnanti ed educatori nel quotidiano.

Le 8 regole della negoziazione – secondo Masoni

1.     Non si cambia l’altro per ordine

L’unico modo per ottenere un vero cambiamento è non ordinarlo. Se vuoi che tuo figlio smetta di urlare, non urlare a tua volta. L’autorità non si impone, si costruisce nel tempo, con coerenza e presenza.

 

2.     Agisci un cambiamento in te stesso

Chiediti: “Cosa posso fare io, di diverso, perché tu non debba più dirmi con rabbia che stai male?”. Il vero potere educativo è l’auto-cambiamento consapevole.

 

3.     Ogni comportamento ha una ragione

Anche i comportamenti più oppositivi hanno intenzionalità comunicativa, non giudicarli subito: prova a decifrarli. Cosa vuole dirti quel “no”?

 

4.     Il comportamento protegge l’identità

Un ragazzo che si comporta “male” ripetutamente sta difendendo la propria identità, è il suo modo – disfunzionale, ma autentico – per dire: “Io esisto”. Se togli quel comportamento senza costruire una nuova immagine di sé, lo lasci senza riferimenti.

 

5.     Cambia le tue risposte

Se l’altro ripete sempre lo stesso comportamento, è perché da te riceve sempre la stessa risposta. Rompi il ciclo: cambia la tua reazione e cambierà anche la dinamica.

 

6.     Chiedi all’altro cosa puoi fare

Il vero esperto del cambiamento è chi lo deve attuare. Chiedi al bambino o ragazzo: “Secondo te, cosa potrei fare io per aiutarti davvero?”. Spiazza l’opposizione e dai spazio alla responsabilità condivisa.

 

7.     Accogli l’identità, anche quella difficile

Mostra con piccoli gesti, parole, azioni che quella persona è degna di attenzione anche nei suoi lati fragili. Non elogiare falsamente, ma sottolinea ciò che funziona davvero, anche se piccolo.

 

8.     La relazione è la vera leva del cambiamento

Nessuna tecnica funziona senza una relazione autentica. La negoziazione non è una strategia, è una postura educativa, è voler bene abbastanza da voler cambiare anche per l’altro.

Dal conflitto al patto: esperienze sul campo

Cosa succede quando un adulto smette di chiedere all’altro di cambiare, e comincia a cambiare per primo? Succede qualcosa di straordinario: il conflitto perde forza e lascia spazio alla relazione.

Durante i focus group del progetto 4x4 Fuoristrada Educativi, è emersa una frase che mi ha toccato profondamente: “Quando smetto di voler avere ragione, e comincio ad ascoltare davvero, mio figlio smette di urlare”.

È un passaggio delicato, che richiede tempo e fiducia, ma accade. È emerso il racconto di un’insegnante con un ragazzo definito “difficile”, che sfidava ogni tentativo di coinvolgimento, sempre arrabbiato, sempre polemico. Un giorno, invece di rispondere con una nota o una punizione, lei gli ha scritto una frase nel diario: “Oggi, grazie al tuo silenzio, ho potuto fare una lezione bellissima. Grazie”.

Il ragazzo l’ha riletta tre volte, incredulo. Il giorno dopo l’ha aspettata al cancello, e le ha detto: “Prof, grazie per ieri”. Da lì è nato un cambiamento reciproco. Non un miracolo, ma un patto nuovo.

Perché la negoziazione non si conclude con un accordo formale, ma comincia quando due persone decidono di vedersi davvero. Di fidarsi, pur nelle differenze. Come ha detto un ragazzo durante le interviste del progetto: “Non sentirmi etichettato mi fa stare bene. Quando mi ascolti e mi dici che ce la posso fare, mi sento visto”.

Il patto educativo nasce quando il bisogno di controllo lascia spazio al bisogno di riconoscimento. Quando adulto e ragazzo si trovano sullo stesso terreno, non per essere uguali, ma per costruire qualcosa insieme. Un legame che restituisce dignità a entrambi.

Educare non è controllare, ma accompagnare

Insegnare a un bambino oppositivo è una sfida educativa, è una chiamata profonda alla relazione, alla coerenza, alla trasformazione reciproca. Non c’è strategia che tenga senza uno sguardo che accoglie, senza una voce che sa aspettare, senza un gesto che costruisce fiducia.

Il progetto di Passo dopo Passo… Insieme, a cui Edunauta ha scelto di partecipare e di supportare, ci ricorda che educare è un atto ricorsivo: mentre accompagni l’altro, scopri che stai cambiando anche tu. Non siamo educatori perfetti, ma possiamo essere presenze autentiche, capaci di disarmare la rabbia con la presenza, di trasformare l’opposizione in racconto, di convertire il conflitto in alleanza.

Come dice Masoni, “Non ho davanti un idiota, ma qualcuno che è obbligato a comportarsi così per esistere. Se io lo vedo diversamente, anche lui potrà vedersi in un altro modo”.

Alla fine, non si tratta di insegnare ai bambini a dire di sì, ma di insegnare loro che possono dire chi sono, senza dover lottare ogni volta per essere visti.

E forse, proprio in quella lotta smorzata, in quel “no” trasformato in racconto, comincia una nuova storia. Una storia che si chiama fiducia. Che si chiama incontro. Che si chiama educazione.

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