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A cosa serve l'insegnante? Intelligenza artificiale a scuola.

A cosa serve l'insegnante? Intelligenza artificiale a scuola.

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Relazione educativa

  • Edunauta.it

  • Pubblicato il : 23/10/2025
  • apprendimento significativo, competenze educative, didattica innovativa, relazione docenti studenti, soft skills,

“Intelligenza artificiale a scuola”: un’espressione che fino a poco tempo fa sembrava appartenere al futuro oggi è già una vera e propria scuola.

Noi di Edunauta ci siamo imbattuti nella scoperta di una scuola innovativa e in questo articolo vi vogliamo portare dentro questa nuova frontiera educativa, raccontandovi un modello scolastico che si sta diffondendo negli USA, per capire se davvero l’intelligenza artificiale potrà sostituire gli insegnanti o se, al contrario, ci sarà sempre più bisogno di figure capaci di educare con la mente e con il cuore.

L’evidenza è che la tecnologia entra ogni giorno sempre di più nelle classi e questo avviene già da tempo, nonostante chi sceglie di voltarle le spalle o di chiudere gli occhi. L’AI ormai supporta la scrittura, traduce, corregge, suggerisce soluzioni e, mentre lei impara a rispondere sempre meglio, cresce una domanda: a cosa serve, oggi, l’insegnante?

Non è una domanda provocatoria, ma necessaria.

Perché mentre in Italia si discute di regolamenti e linee guida, la politica educativa continua a muoversi tra vecchi fronti, tentando di “versare vino nuovo nei vecchi otri”: si parla di rafforzare la disciplina con sanzioni più severe sulla condotta e misure contro le aggressioni al personale scolastico; si rilancia l’idea del “merito” come valore fondativo; e, ancora, si annuncia l’ennesima revisione dei programmi, che in realtà restano il cuore rigido e immutabile del sistema formativo italiano. Un sistema ancora molto legato al contenuto e poco al processo, dove le riforme cambiano spesso i titoli dei progetti, ma di rado cambiano lo sguardo sull’educazione.

E mentre qui il dibattito ruota attorno a voti, regolamenti e nuove sigle, si continua a ignorare il compito più delicato ma urgente della scuola di oggi: educare al e con il digitale. Una sfida non solo tecnologica, ma profondamente culturale e pedagogica, che chiede di ripensare il modo in cui apprendiamo, comunichiamo e costruiamo relazioni.

Così, mentre altrove si sperimenta un nuovo modo di fare scuola, in cui l’intelligenza artificiale diventa parte di un ecosistema educativo vivo e dinamico, in Italia restiamo fermi a discutere come punire o cosa valutare, più che come educare. Eppure, è proprio da questa capacità di integrare l’innovazione con la relazione umana che passerà il futuro dell’educazione.

Alpha School: quando l’AI diventa compagno di banco

A Austin, in Texas, c’è una scuola che sembra arrivare direttamente dal futuro. Si chiama Alpha School, e la sua missione è semplice e sempre la medesima, quella proclamata da anni, quella per cui anche noi lavoriamo, scriviamo, progettiamo: liberare gli studenti dal modello di insegnamento tradizionale, ma qui lo fanno utilizzando l’intelligenza artificiale per personalizzare il percorso di apprendimento di ciascuno.

Nel mondo, scuole come Alpha, dove l’AI sostituisce l’insegnante con la figura della guida o mentore e le lezioni accademiche durano solo due ore al giorno, sono ancora pochissime: circa 12-18 campus operativi, tutti negli Stati Uniti, secondo le ultime fonti del 2025. Ma il movimento che ruota attorno all’idea di personalizzazione guidata si sta espandendo rapidamente. Accanto al network Alpha si contano infatti realtà affini come Acton Academy, con oltre 300 campus in 23 paesi, e il fenomeno delle Microschools, più di 800 strutture diffuse negli USA, dove piccoli gruppi di studenti imparano con l’aiuto di coach o guide anziché insegnanti tradizionali.

Qui non ci sono insegnanti, almeno nel senso classico del termine. Ci sono guide, o mentori, che non “spiegano”, ma accompagnano. Ogni studente lavora due ore al giorno su piattaforme basate su AI, che tracciano i progressi, individuano le lacune, propongono esercizi mirati e modulano la difficoltà in base al ritmo di apprendimento individuale. Il resto della giornata è dedicato a workshop, laboratori, progetti pratici, sport e attività creative. Non esistono voti, ma feedback in tempo reale. Non esistono compiti standardizzati, ma sfide personalizzate. Il risultato ancora è da verificare nel tempo, perché sarà solo il tempo a dirci cosa funziona e cosa invece sarà da migliorare. Intanto, possiamo vedere alcuni bambini che, in alcuni video raccontano la scuola, parlano di “gioia”, “autonomia” e “desiderio di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo”. Oppure, in un altro video, l’enfasi viene posta sul tempo a disposizione dei bambini per seguire progetti appassionanti e competenze pratiche come il nuoto, l'arte e persino la pianificazione di startup, dal momento che hanno solo due ore al giorno dedicate all'apprendimento tramite intelligenza artificiale, che insegna agli studenti due volte più velocemente rispetto all'istruzione tradizionale.

Il modello Alpha si struttura sull’approccio della didattica differenziata, in cui l’apprendimento non è standardizzato e uguale per tutti, ma la tecnologia offre a ogni studente la possibilità di costruire un percorso unico, calibrato sui propri interessi e potenzialità. L’articolo di Forbes (Ravaglia, 2025) sottolinea che l’obiettivo non è sostituire l’uomo, ma “usare l’AI per sbloccare il potenziale umano”. In pratica, l’algoritmo fa da specchio cognitivo: osserva, suggerisce, corregge, mentre il mentore, figura centrale nella scuola, coltiva le competenze relazionali, l’autostima e la motivazione. Vuole essere un modello che promette una scuola più libera, più efficiente, più “felice”, e che ha già ispirato un acceso dibattito internazionale tra chi la considera un’anticipazione inevitabile e chi teme una deriva tecnologica dell’educazione.

Come scrive Orizzonte Scuola: “Alpha School ridisegna la scuola del futuro dell’istruzione privata tra entusiasmo, dubbi e sfide etiche”. Perché se l’AI può gestire contenuti, quiz e analisi dei dati, resta aperta la domanda più importante: chi, o cosa, si prenderà cura delle emozioni, dei conflitti, della crescita interiore dei ragazzi?

AI a scuola: opportunità o minaccia? I dati e le paure

Ogni rivoluzione genera entusiasmo e timore insieme, quella dell’intelligenza artificiale a scuola non fa eccezione.

Per alcuni, come i fautori di Alpha School, l’AI rappresenta un’occasione per restituire senso e libertà all’apprendimento, liberando insegnanti e studenti da vincoli standardizzati. Per altri, rischia invece di spingere la scuola verso un modello ipertecnologico e disumanizzato, dove l’incontro educativo rischia di diventare un algoritmo.

I dati ci aiutano a misurare questa ambivalenza.
Secondo un’analisi pubblicata da GoStudent (“L’intelligenza artificiale sostituirà gli insegnanti? Oltre 40 dati dal 2025”), molte statistiche mostrano una tensione tra timori e riconoscimenti del potenziale dell’AI.

Ad esempio:

·       Il 70 % dei genitori non crede che l’AI sostituirà completamente gli insegnanti.

·       Solo il 10 % dei docenti teme una sostituzione totale.

·       Il 63 % degli studenti desidera che i docenti conoscano meglio l’AI.

·   Il 66 % degli insegnanti afferma di non avere ancora ricevuto formazione specifica sull’intelligenza artificiale.


Questi numeri ci suggeriscono che forse non siamo di fronte a un futuro in cui l’AI soppianta l’insegnante, ma sicuramente siamo dentro un’epoca in cui l’AI diventa un supporto potente, se lo sapremo gestire con saggezza e consapevolezza.

Allora cerchiamo qui di portare un po’ di luce su alcune di queste consapevolezze, quelle su cui essere lucidi sin dall’inizio.

Prima consapevolezza: piacere immediato, frustrazione e apprendimento “profondo”

Sul piano psicologico, esseri umani (e bambini) tendono verso ricompense rapide: il circuito della dopamina rinforza le azioni che danno piacere e sollievo, favorendo abitudini di gratificazione immediata. Gli strumenti di AI, per definizione “assistivi” e veloci, si allineano a questa esigenza e abbassano il costo dello sforzo cognitivo. Il beneficio è reale (comprensione più rapida, riduzione dell’errore), ma se l’uso resta non mediato rischia di erodere la tolleranza alla frustrazione e le abilità di autoregolazione che si costruiscono proprio attraversando errori, attese e difficoltà. La ricerca su funzioni esecutive e autoregolazione in età evolutiva mostra che queste competenze nascono in contesti guidati e richiedono esposizione regolata a compiti “sfidanti”, non solo gratificanti. In termini didattici: servono quelle che nella ricerca sopra menzionata vengono chiamate “desirable difficulties”, ossia difficoltà desiderabili che, se ben orchestrate, aumentano tenuta e applicazione delle conoscenze.

Seconda consapevolezza: performance “aumentata” e identità dello studente

Con l’AI si può performare sopra la media: testi più rifiniti, soluzioni più rapide, argomentazioni più coerenti. Tuttavia, emergono due rischi: affidamento e delega eccessivi e pensiero più superficiale, se la scorciatoia sostituisce il ragionamento. Una review sistematica rileva effetti negativi sulla capacità di prendere decisioni e sul pensiero critico, in caso di affidamento eccessivo, quando gli studenti faticano a valutare attendibilità e limiti dell’AI. Studi recenti su studenti “AI-nativi” descrivono un apprendimento più veloce ma meno profondo, con gli stessi ragazzi che segnalano benefici pragmatici, ma anche calo di creatività e autonomia: utile, dunque, ma da incorniciare con la letteratura sull’AI che abbiamo man mano a disposizione e con un po’ di metacognizione, cioè accompagnare gli studenti ad essere consapevoli della propria capacità e dei propri processi cognitivi.

Terza consapevolezza: educare al “meno che perfetto”, tra vulnerabilità e crescita

Se lo standard percepito del bambino diventa l’output “potenziato” dall’AI, c’è il rischio di identificazione con uno standard non umano, con scarsa tolleranza per l’errore, il disappunto e il “non riuscire”. La letteratura motivazionale (Self-Determination Theory) ricorda che competenza, autonomia e relazione si alimentano anche attraverso esperienze di insuccesso; sul versante sviluppo, le funzioni esecutive (autocontrollo, pianificazione, memoria di lavoro, flessibilità cognitiva e inibizione dell’impulso) e la regolazione emotiva migliorano quando l’adulto sostiene la frustrazione del bambino in modo calibrato, senza eliminarla. Tradotto: occorre un disegno intenzionale che normalizzi la vulnerabilità e valorizzi il processo, non solo il risultato finale.

Quarta consapevolezza: per questo servono educatori esperti (selezione, formazione e tempo con i bambini)

Se l’AI accelera e “leviga”, le guide educative devono presidiare la parte umana: frustrazione tollerabile, senso, etica, relazione. Modelli come Alpha esplicitano che i docenti diventano guide con compiti di motivazione, crescita emotiva e coaching, al posto della lezione frontale; i profili richiesti parlano di facilitatore, coach, progettista di esperienze e custode della cultura del gruppo. Questo implica criteri di selezione (capacità relazionali, coaching, gestione del clima), formazione continua (AI-literacy pedagogica, feedback, metacognizione) e tempo quotidiano in presenza con i ragazzi nei laboratori pomeridiani, quando l’apprendimento si fa sociale e personale. Infatti, a livello di policy, i framework UNESCO ribadiscono che l’integrazione dell’AI va ancorata a un approccio “umanocentrico” e a competenze etico-pedagogiche dei docenti, guide, educatori, insegnanti, a seconda di come li si voglia chiamare.

Il vero pericolo, allora, non è che l’AI prenda il posto dei docenti, ma che la scuola dimentichi di educare persone, non macchine. Il vero pericolo è che politica e scuola si dimentichino di guardare oltre la punta del loro naso per provvedere a strutturare una formazione adeguata per i futuri docenti e ad aggiornare quella degli attuali.

L’AI può rendere l’apprendimento più efficiente, ma solo relazioni educative autentiche possono renderlo significativo. Ed è su quella relazione, sulla qualità del clima di classe positivo e sulla capacità di star bene a scuola, che si gioca la reale sfida educativa del nostro tempo.

Un nuovo ruolo per gli insegnanti: da trasmettitori a guide

L’intelligenza artificiale a scuola non è soltanto una questione tecnologica: è una lente che ci costringe a guardare da vicino il ruolo dell’insegnante. Per secoli, i docenti sono stati i custodi del sapere, i mediatori tra il mondo e l’alunno. Oggi, però, le conoscenze sono ovunque, accessibili in pochi secondi, generate e spiegate da sistemi sempre più raffinati. Cosa resta, allora, all’essere umano?

Resta l’incontro, resta la relazione.

Resta la capacità di vedere l’altro, di intuirne i bisogni, di accendere motivazioni. Resta quella parte del lavoro educativo che nessuna macchina può replicare: la costruzione di un legame. Perché anche se l’AI può insegnare a risolvere un’equazione o a tradurre un testo, non potrà mai insegnare a credere in se stessi, a gestire la frustrazione, a scoprire la propria voce.

Mentre scuola e istituzioni continuano a guardare il presente con gli occhiali del passato, noi abbiamo incontrato alcune realtà che hanno tolto gli occhiali e che stanno già lavorando in questa direzione: aiutando gli insegnanti a riscoprirsi guide. Una di queste è Filo Comune ETS, che ha costruito un modello di formazione basato sull’ascolto, sulla fiducia e sulla crescita reciproca. Un modo tutto umano di prepararsi alla scuola di domani.

C’è una differenza sottile ma decisiva tra insegnare ed educare. Insegnare può farlo anche una macchina: trasmettere nozioni, correggere errori, misurare progressi. Educare, invece, significa entrare in relazione, e in quella relazione accompagnare la crescita di una persona.

È una competenza viva, non programmabile. Una dimensione che nasce dal contatto, dall’ascolto, dall’empatia.

Ed è proprio qui che si colloca il lavoro di Filo Comune e di altre realtà mappate nella nostra Edumappa, realtà italiane che hanno scelto di partire dagli insegnanti per cambiare la scuola. Il modello formativo di Filo Comune, ad esempio, ruota attorno all’idea che il benessere del docente sia la chiave per il benessere dell’intera classe. Attraverso pratiche come l’osservazione senza giudizio, il feedback formativo e il linguaggio motivante, Filo Comune aiuta gli insegnanti a sviluppare quelle competenze socio-relazionali che permettono di trasformare la relazione educativa in un luogo di fiducia e motivazione reciproca. In questo approccio, l’AI e la tecnologia non sono nemici, ma strumenti che lasciano spazio a ciò che conta davvero: la qualità della presenza umana.

Certamente l’AI può imparare tutto ciò che è già stato scritto. Ma non potrà mai imparare a creare umanità, cura, affetto, amore.

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