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Educazione sessuale a scuola: quando anche gli adulti non sanno che “pesci” prendere

Educazione sessuale a scuola: quando anche gli adulti non sanno che “pesci” prendere

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  • Edunauta.it

  • Pubblicato il : 28/11/2025 - Aggiornato il : 04/12/2025
  • apprendimento significativo, competenze educative, didattica innovativa,

Vietare per proteggere? Funziona davvero?

Negli ultimi mesi, il tema dell’educazione sessuale nelle scuole è tornato al centro del dibattito politico e sociale. Al cuore della discussione c’è il disegno di legge, presentato dal governo che vietava le attività relative all’educazione sessuale e affettiva fino alle scuole secondarie di secondo grado. Ripercorriamo velocemente insieme i passaggi.

Il 15 ottobre 2025 la commissione Cultura della Camera ha approvato un emendamento, con prima firma di Giorgia Latini (Lega), che estendeva il divieto di attività didattiche e progettuali sull’affettività e sessualità anche alla scuola secondaria di primo grado (medie), oltre all’infanzia e primaria.

La reazione è stata immediata da parte delle opposizioni e delle associazioni, con richiami ai princìpi dell’UNESCO e del World Health Organization che promuovono un avvio precoce e graduale dell’educazione all’affettività e alla sessualità.

Successivamente, il 10 novembre 2025 è stato depositato un nuovo emendamento della stessa maggioranza che ha abolito il divieto assoluto per le medie, equiparando le scuole secondarie di primo grado a quelle di secondo grado: entrambe potranno svolgere attività sull’affettività e sulla sessualità, ma solo previo consenso informato dei genitori e con trasparenza sui contenuti e materiali.

Il relatore del provvedimento, il deputato Rossano Sasso (Lega), ha spiegato che l’intento non è vietare l’educazione sessuale in sé, ma “escludere dalle scuole primarie e secondarie di primo grado attività didattiche che esorbitino da quanto previsto dalle Indicazioni nazionali”, denunciando presunti “tentativi di indottrinamento da parte di attivisti di estrema sinistra LGBT”. (Fonte: Agenzia Stampa Italia del 16 giugno 2025)

Ma questa scelta ci riporta a una domanda: vietare per proteggere, funziona davvero?

Eppure, tacere non protegge. Anzi, dal punto di vista educativo, il divieto assoluto rischia di produrre l’effetto opposto a quello dichiarato: genera curiosità non accompagnata, paure non nominate, sguardi che cercano altrove.

Quando l’adulto tace, non sospende la scoperta, la sposta altrove, spesso in spazi che non hanno filtri né guida: la rete, i social, la pornografia. In mancanza di parole, i ragazzi e le ragazze imparano a leggere il corpo e la relazione attraverso modelli che confondono desiderio con possesso, intimità con esposizione, libertà con consumo.

In pedagogia, si sa che il vuoto educativo non è mai neutro: viene subito riempito da altri linguaggi, da altri significati. E così, ciò che avrebbe bisogno di essere accolto con delicatezza e competenza, diventa terreno di silenzi, imbarazzi o eccessi.

Un’educazione che si fonda sul divieto non costruisce consapevolezza, ma ritarda l’incontro con la realtà. E quando l’incontro arriva, perché arriva sempre, lo fa senza parole, senza strumenti, senza adulti pronti a sostenere lo sguardo.

Educare, al contrario, significa aprire spazi sicuri di parola e di ascolto, dove si possa esplorare ciò che nasce dentro, senza paura né giudizio. Solo così la scoperta della sessualità e dell’affettività diventa occasione di conoscenza, e non di smarrimento.

Educazione affettiva e sessuale a scuola: capire il dibattito, oltre gli slogan

Negli ultimi mesi si è parlato molto di “consenso informato” a scuola.

Il disegno di legge C.2423, ancora in discussione in Parlamento, prevede che per affrontare in classe temi legati alla sessualità, all’affettività o ai valori etici sia necessaria un’autorizzazione scritta dei genitori.
Un emendamento approvato a ottobre 2025 ha aggiunto che, nelle scuole dell’infanzia, primarie e medie, tali attività non potranno essere svolte affatto. Alle superiori resterebbero invece possibili, ma solo previo consenso delle famiglie.

Il Governo presenta questa misura come un modo per rafforzare l'alleanza scuola-famiglia ed “evitare confusione nei bambini”. Molti esperti e operatori, però, mettono in guardia sul rischio opposto: quello di limitare la libertà di insegnamento, tutelata dall’articolo 33 della Costituzione, e di restringere l’autonomia progettuale delle scuole.

Oggi il DDL non è ancora legge. Finché l’iter non sarà concluso, continuano a valere le regole ordinarie:

·      la Costituzione tutela sia i genitori sia la scuola;

·      il DPR 275/1999 garantisce autonomia didattica e la possibilità di invitare esperti esterni;

·      la Legge 92/2019 sull’educazione civica impone di educare al rispetto, alla parità e alla cittadinanza.

Questo significa che i docenti possono ancora affrontare in classe temi di crescita, relazioni, prevenzione della violenza e rispetto, se integrati nel curricolo e non come progetti esterni.
Le attività extra-curricolari su sessualità o affettività, invece, restano la parte più esposta a future limitazioni.

Cosa dicono i giuristi e il confronto europeo

Come ricorda l’avvocata Ilaria Boiano, il consenso informato “subordina la conoscenza all’autorizzazione familiare, rovesciando la logica pubblica dell’istruzione”. L’educazione affettiva, sottolinea, non è un privilegio dei genitori ma un diritto dei minori: servono spazi sicuri dove imparare a conoscere il proprio corpo, parlare di emozioni e prevenire la violenza.

In Europa, oltre 30 Paesi su 41 hanno programmi di educazione sessuale obbligatoria per legge. In quasi tutti non è richiesto alcun consenso scritto: la materia è parte del curricolo, non un’opzione. Solo sette Paesi, tra cui l’Italia, non hanno ancora una normativa nazionale stabile.
Secondo l’OMS e l’UNESCO, introdurre un’educazione precoce, scientifica e adeguata all’età riduce gravidanze precoci, comportamenti a rischio e stereotipi di genere, promuovendo il rispetto reciproco.

Il “paradosso nordico”

Nei Paesi con maggiore parità di genere e programmi educativi avanzati — come Svezia, Finlandia e Danimarca — i tassi di violenza di genere restano alti. Gli studiosi lo chiamano “paradosso nordico”: più cresce la consapevolezza, più aumenta la denuncia.

La violenza non cresce: emerge.

Cosa possiamo davvero aspettarci adesso

L’iter parlamentare non è ancora concluso, e proprio per questo è importante mantenere uno sguardo vigile e informato.

Nel frattempo, le scuole continuano ad avere strumenti e margini per educare al rispetto, alla relazione, alla cittadinanza e alla prevenzione della violenza, all’interno dei percorsi curricolari già previsti.

Più che chiudere spazi, questo è un momento in cui diventa essenziale chiarire alle famiglie gli obiettivi educativi, costruire alleanze, sostenere gli insegnanti con una formazione adeguata, e prepararsi a integrare eventuali cambiamenti normativi quando saranno definitivi.

L’educazione affettiva e sessuale non è mai stata un atto ideologico, ma un processo di consapevolezza graduale, che richiede cura, ascolto e responsabilità condivisa. È proprio su questo terreno, quello della relazione educativa, che si gioca la possibilità di non lasciare soli bambini e ragazzi di fronte alla complessità del presente.

Educazione affettiva ed educazione sessuale: non sono la stessa cosa

Nel dibattito pubblico, questi due termini vengono spesso confusi, come se parlassero della stessa cosa. Ma educare all’affettività e educare alla sessualità non coincidono: sono due percorsi diversi e complementari, che si intrecciano solo quando vengono guidati da adulti consapevoli.

L’educazione affettiva riguarda il sentire, lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, la capacità di dare nome alle emozioni e di orientarle nelle relazioni.

L’educazione sessuale, invece, è un cammino di conoscenza del corpo e di integrazione: non spiega solo come funziona, ma aiuta a comprendere che ogni gesto e ogni scelta hanno radici emotive, relazionali e valoriali.

Quando la scuola evita questi temi, non li cancella: li consegna ad altri linguaggi, meno attenti e più aggressivi. Secondo i dati diffusi da Milena Gabanelli e pubblicati in un’inchiesta, parte della rubrica Corriere della Sera “Dataroom” dal titolo “Porno online, cambia tutto: ecco le nuove regole per tenere fuori i minori” il consumo di pornografia online è sempre più precoce: a livello globale il 30% dei bambini fra gli 11 e i 12 anni, e in Italia il 44% degli adolescenti fra i 14 e i 17 anni.

Ciò che vedono non è neutro: modelli di sesso violento e di sottomissione femminile che deformano l’immaginario affettivo e la percezione dell’altro. Gli studi mostrano che chi vi è esposto con continuità tende a sviluppare comportamenti sessisti e a vivere la sessualità come potere e prestazione, non come incontro.

In assenza di educazione, la rete diventa maestra. Ma non è inevitabile.

Un esempio concreto di educazione affettiva e sessuale

In Italia esistono esperienze che affrontano questi temi con competenza, cura e profondità. Tra queste, ne segnaliamo una che abbiamo incontrato da vicino e sostenuto con Gĕnĕras Foundation in passato, si tratta di Teen STAR (acronimo di Sexuality Teaching in the Context of Adult Responsibility), attivo nel nostro Paese dal 2004, e che riteniamo sia una delle più solide. Il suo approccio nasce dall’idea che la maturazione sessuale non possa essere separata dalla crescita personale. Il programma propone percorsi differenziati per fasce d’età, accompagna bambine, bambini, adolescenti e giovani adulti a comprendere i cambiamenti del corpo e il valore delle relazioni, e offre formazione specifica a genitori, insegnanti ed educatori, in un’ottica di corresponsabilità nel rapporto scuola-famiglia.

Al centro non c’è la trasmissione di nozioni, ma un dialogo educativo profondo, in cui il ragazzo o la ragazza impara a osservare, nominare e comprendere ciò che sente. Ogni tappa è pensata per un’età, ogni argomento per una soglia di consapevolezza. È un metodo che riporta la sessualità dentro l’esperienza dell’essere umano, come spazio di integrazione tra corpo, affetto, libertà e responsabilità.

Forse è da qui che possiamo ripartire: dal coraggio di accompagnare, invece di proteggere a distanza.

Un contesto affettivo sempre più complesso

Viviamo in un tempo in cui le ragazze e i ragazzi crescono in pubblico, esposti fin da piccoli a un flusso continuo di immagini, modelli e giudizi. La rete non è solo uno strumento: è il luogo in cui si costruiscono identità, desideri, appartenenze. Eppure, la velocità di questo mondo digitale supera spesso la nostra capacità di comprenderlo. Gli adulti — genitori, insegnanti, educatori — si ritrovano spiazzati, disarmati, a volte silenziosi. Non perché non abbiano a cuore i più giovani, ma perché non sanno più da dove cominciare.

Siamo la prima generazione di adulti che cresce figli e figlie immersi in una realtà che non abbiamo mai abitato da piccoli. Questo dislivello di esperienza genera smarrimento: non abbiamo modelli da imitare, né certezze da ripetere. Ci resta solo la possibilità e la responsabilità di tornare a imparare, insieme ai nostri figli, figlie e studenti, cosa significhi abitare la rete senza smarrirsi, ma per farlo occorre un cambio di prospettiva. Non serve moltiplicare le regole, serve ritrovare la presenza. Tornare a guardare i ragazzi e le ragazze, a parlare con loro di ciò che vedono, di ciò che provano, di ciò che li spaventa e li affascina. Non serve temere la complessità: serve abitarla con sguardo vigile e cuore aperto.

L’educazione, oggi più che mai, non è un sistema di contenuti da trasmettere, ma un atto di relazione. E forse, nel tempo dell’intelligenza artificiale, delle identità digitali e dei sentimenti in streaming, la vera sfida non è insegnare ai giovani a difendersi dal mondo, ma insegnare loro a restare umani.

Educare anche al virtuale: l’intelligenza artificiale come nuova frontiera dell’affettività

Oggi, parlare di educazione sessuale senza considerare l’intelligenza artificiale è come camminare con i paraocchi in un paesaggio che è già cambiato. I giovani vivono immersi in un ambiente digitale dove anche l’intimità, la curiosità e la scoperta passano attraverso gli schermi. Ignorare questa dimensione significa rinunciare a capire dove e come si formano davvero le loro domande.

Secondo una recente indagine del Telefono Azzurro, il 22% degli adolescenti italiani preferisce confidarsi in forma anonima attraverso chatbot o intelligenze artificiali, piuttosto che parlare con un adulto. Il 63% ritiene queste tecnologie accessibili, e il 62% ne apprezza soprattutto l’assenza di giudizio.

Un’altra ricerca condotta da UDiCon rivela che un giovane under 35 su quattro si affida a strumenti di IA per discutere questioni intime, con una tendenza più marcata tra le ragazze.

Questi dati raccontano una verità semplice, ma ancora scomoda per un mondo adulto che ha bisogno di assumere un passo un po’ più incalzante: i giovani stanno già imparando sull’affettività e la sessualità con l’AI, ma da soli. Non perché si fidino delle macchine, ma perché non sempre trovano adulti pronti ad accompagnarli in quel territorio fragile tra corpo, desiderio e parola.

Eppure, non è la tecnologia il problema. È la solitudine educativa che la circonda. Un chatbot non giudica, ma neanche comprende; risponde, ma non ascolta. Non vede gli occhi, non coglie il tremore della voce, non riconosce la vergogna o il pudore che si affacciano in chi cresce.
L’educazione, invece, nasce proprio lì: nel campo di relazioni educative vive, dove qualcuno si fa vicino, senza invadere, e accompagna.

Per questo, anche l’IA può diventare uno strumento prezioso, se mediato, se abitato da una coscienza educativa. Può offrire informazioni, stimoli, spazi di riflessione, ma deve farlo dentro un percorso in cui l’adulto è presente, come interprete e custode di senso. Educare al digitale significa allora insegnare a stare con l’IA senza esserne sostituiti, a usarla come linguaggio, non come rifugio.

L’educazione affettiva e sessuale non è un insieme di lezioni su “cosa si deve o non si deve fare”, ma un processo di crescita interiore e relazionale. Se l’intelligenza artificiale entra in questo campo, e ormai lo fa, serve un pensiero educativo che non opponga reale e virtuale, ma li intrecci in una pedagogia della presenza. Perché il vero rischio non è che i ragazzi e le ragazze conoscano troppo presto, ma che conoscano senza essere accompagnati.

Educare, oggi, significa stare accanto mentre tutto cambia. Significa credere che la complessità non vada temuta, ma attraversata. Significa offrire ai giovani non solo strumenti per capire, ma occhi per vedere e cuore per sentire. Perché ogni nuova tecnologia, come ogni nuova epoca, chiede la stessa, antica responsabilità: restare umani insieme.

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