Strumenti alternativi all’interrogazione e alla verifica con Stefano Stefanel

00:00 LAFFI.
Quali innovazioni didattiche ha senso mettere in campo in un anno di sperimentazioni? Cosa può sostituire l’interrogazione e la verifica in classe? E perché provare a sostituirle?
Sono Stefano Laffi e questo è Orizzonti educativi, il podcast che dialoga con chi l’educazione la vive, per estrarre apprendimenti dall’esperienza.
Oggi esploriamo il pensiero educativo e alcuni strumenti pratici suggeriti da Stefano Stefanel.
Stefano è da vent’anni dirigente scolastico, è stato prima insegnante, ha esperienza di gestione della scuola dai 3 ai 20 anni, è autore del libro ‘Innovare il curricolo’ uscito per Armando editore. Siamo distanti, via skype, quindi ci scusiamo per l’audio imperfetto del dialogo.
Allora oggi parliamo di innovazione della didattica, a scuola, dopo l’esperienza della didattica a distanza durante il coronavirus. Iniziamo il nostro viaggio dai fondamentali, cioè la parola, perché sappiamo che in classe c’è uno sbilanciamento dei turni di parola, a favore dell’insegnante, e che la forma verbale della verifica, dell’interrogazione, presenta alcuni limiti. È qui con noi in collegamento, dal suo studio a scuola, Stefano Stefanel a cui chiedo: ci spieghi cosa intendi quando ti riferisci ai limiti della classica interrogazione “domande e risposte”?

01:25 STEFANEL.
Beh, intanto vi saluto e vi ringrazio. Intendo questo: quando si stabilisce una relazione tra insegnante e studente il focus dovrebbe essere l’apprendimento dello studente, non le competenze dell’insegnante perché le competenze dell’insegnante dovrebbero essere state verificate precedentemente. Si ritiene, si è ritenuto, e per una parte credo della storia, della cultura italiana, questo poteva andare bene, che a fronte di una domanda dell’insegnante, lo studente avesse un numero talmente limitato di risposte che era giusto che le conoscesse. Adesso invece si è modificato tutto e, si era già modificato prima dell’emergenza coronavirus, però l’emergenza coronavirus ha fatto proprio esplodere questa contraddizione, di un sapere che non è più limitato.

02:15 LAFFI.
Se il sapere non è più limitato, ci suggerisci, lo schema ‘a domanda rispondi’ non è quindi quello corretto, perché conta come uno si muove nel mare della conoscenza. A maggior ragione quando l’incontro avviene a distanza, senza l’atmosfera diciamo controllata dell’aula scolastica. Tu proponi il colloquio colto come proposta ripensata: ci guidi dentro questo cambiamento, ci fai degli esempi, per capire?

02:40 STEFANEL.
Nel meccanismo colloquiale prevalgono le competenze del soggetto e non le abilità mnemoniche o le abilità di apprendimento, perché se noi non abbiamo dei comuni riferimenti non siamo in grado di colloquiare. Però, se posso permettermi, proprio due esempi molto banali, perché quando si parla di colloquio colto probabilmente si pensa ad uno studente liceale che è in grado di colloquiare su Kant o Hegel, che è in grado di parlare delle derivate e degli integrali, mentre io mi riferisco proprio a tutto il percorso di apprendimento degli studenti. Perché è evidente che se io con un bambino di 7 anni riesco anche a distanza a discutere su quali sono le tonalità di verde, di giallo o di azzurro che io devo dare ad un disegno, riferito alla realtà o alla fantasia, perché colori la tua fantasia di rosso e non colori la tua realtà di rosso, è molto diverso che attivare un colloquio con un bambino che mi chiede di andare al bagno o che mi dice ‘maestra, devo dirti una cosa, sai che mio zio ha comprato un trattore’. Nel caso del segmento più difficile della scuola italiana cioè quello della scuola secondaria di primo grado, la scuola media, il colloquio colto è l’unica forma di relazione con lo studente, adolescente. Il colloquio colto mi costringe, costringe me insegnante a entrare in quella che è la logica strutturale dell’adolescente e vedere quali sono i suoi riferimenti culturali, se l’adolescente ha diciamo un buon sviluppo di apprendimento dentro una cultura consolidata o se pure dentro di lui c’è una grave confusione di fonti, metodi, nozioni, immagini, tutto un grande caos. Ecco, dentro a questo grande caos non posso applicare delle interrogazioni, ma devo applicare dei colloqui.

04:28 LAFFI.
Ecco, ci descrivi delle sperimentazioni in cui avete già sostituito l’interrogazione con forme colloquiali, come dici?

04:36 STEFANEL.
Per esempio, noi già il 30% delle verifiche non sono basate su compiti e interrogazioni. Per esempio, una delle caratteristiche è l’interrogazione dentro un focus group. Qual è la caratteristica base di un focus group? Che i soggetti che parlano attorno ad un tavolo, in questo caso virtuale ma prima che chiudessimo le scuole era un tavolo reale, devono conoscere l’argomento. Anche un argomento che può sembrare banale, tipo: per quale motivo Don Rodrigo non voleva che Renzo e Lucia si sposassero? Però guardate che questo semplice dialogo ‘per quale motivo Don Rodrigo non voleva che Renzo e Lucia si sposassero’ non può essere fatto, per esempio, in un bar o in un supermercato con soggetti che non hanno almeno una competenza minima strutturale dei Promessi Sposi, perché non sappiamo neanche di che Renzo e di che Lucia stiamo parlando. Allora questo meccanismo di focus stimolava gli studenti a proporsi come soggetti attivi dentro il ragionamento, non semplicemente come soggetti passivi che devono dare l’informazione corretta. Per esempio, spingere le maestre e anche gli insegnanti di scuola secondaria a colloquiare con gli studenti, ma poi a mettere dei voti a questi colloqui, devi mettere il voto anche al colloquio, se lo studente parla deve sapere che viene valutato. Perché non stiamo parlando del più e del meno stiamo parlando di contenuti culturali. Il colloquio colto per sua natura deve riferirsi ad un contenuto, come possiamo fare un colloquio colto privo di contenuto, di che cosa parliamo? Quindi la mia competenza non sta fuori dalla conoscenza dalle discipline ma sta dentro le discipline. Questo anche permette agli insegnanti di verificare la limitatezza dell’interrogazione disciplinare a fronte di un colloquio che diventa immediatamente pluridisciplinare, perché? Perché lo studente tende a spaziare. Però, questa tendenza che io ho individuato e ho evidenziato si trova anche nell’esame di stato. L’esame di stato dell’anno scorso, meno quello di quest’anno, però insomma siamo in emergenza, però l’esame di stato conclusivo del secondo ciclo, ma anche la prova di quest’anno on line degli studenti delle medie, delle secondarie di primo grado, hanno questa idea di colloquio colto, non andiamo a fare un’interrogazione, presentami una cosa e discutiamo di questa cosa, che è un po’ lo stile della tesi di laurea, dell’esame universitario, tutto questo è fondamentale anche per i bambini piccoli. Ecco è fondamentale essere attenti ai meccanismi di pensiero del bambino, che vengono chiuse dentro strutture ripetitive

07:10 LAFFI.
Torniamo a quel bambino che guarda l’albero ed è sollecitato a ragionare sulle tonalità di verde che vede, perché mi sembra che tu suggerisci anche un’altra cosa nelle tue riflessioni sulla didattica a distanza, cioè il tema dell’esperienza di vita. Ti chiedo: come fare a mettere in primo piano l’esperienza di vita come fonte di apprendimento?

07:30 STEFANEL.
Beh, per esempio noi abbiamo avviato qui nel liceo che dirigo tre percorsi estivi di percorsi per le competenze trasversali di orientamento, ex alternanza scuola lavoro. Uno di questi percorsi è proprio ‘Racconta te stesso’, cioè fai un curriculum vitae di non più di 3 o 4 minuti in cui ci spieghi chi sei e cosa hai fatto in un questo periodo di pandemia, questo è spostare il curriculum vitae da una dimensione solo cartacea ad una dimensione video, partendo anche dall’idea, dall’esperienza che abbiamo visto: c’è una ricerca in cui dice che i datori di lavoro sono disponibili a dedicare da 8 a 40 secondi al cv cartaceo e fino a 5 minuti a scartare cosa fai tu nei social. Ecco allora io dico agli studenti “Guardate che questa della propria auto-promozione attraverso video di se stessi è una grossa cartina di tornasole di quello che tu sai fare con competenze informatiche”, anche perché ci saranno studenti che ci manderanno degli orribili video di 3 minuti con la loro faccia e studenti che invece monteranno immagini terze, no? La differenza che c’è tra un telegiornale di Enrico Mentana in cui per 20 minuti su 30 si vede lui a un telegiornale di un’altra rete dove si vedono immagini di repertorio o immagini chiave, quindi è una definizione di se stesso… Ma abbiamo altri due percorsi: uno in cui lo studente dovrà descrivere il rapporto fra globale e locale, cioè come una struttura locale, la sua camera nel lockdown, ecc., si rapporta con quelle che sono le informazioni nel mondo che ha determinato questa pandemia. Faranno dei libri in cloud, quindi i ragazzi lavoreranno insieme e questo darà la visione di competenze sia trasversali, lavorare insieme, che culturali, perché il libro potrà essere un saggio, un libro narrativo, un testo diciamo così manualistico.

09:30 LAFFI.
Trovo interessante l’idea di far scrivere libri, nel vostro liceo si fa da anni, la suggestione stessa del produrre sapere, della responsabilità della propria conoscenza che dà il fatto di pubblicare. Ma come funziona la vostra sperimentazione?

09:44 STEFANEL.
L’esperimento di questa estate è un esperimento cooperativo in cloud quindi non ci sarà il libro scritto ognuno scrive un capitolo, ma tutti scrivono tutto. E quindi la valutazione del percorso delle competenze trasversali all’orientamento dentro un libro in cloud verterà soprattutto alla capacità di collaborare dentro un unico schema, un po’ lo stile di wikipedia, se poi verranno delle cose di alto livello lo pubblicheremo. Lo studente quando si iscrive a questo percorso, deve decidere se vuole impegnarsi in una produzione di testi narrativi o in una produzione di testi, diciamo così, di saggi scientifici.

10:20 LAFFI.
Stefano, che cosa ti piacerebbe sperimentare in quest’anno scolastico, che è forse un’occasione unica per provare qualcosa di nuovo?

10:27 STEFANEL.
Sì, allora io credo che l’unico obiettivo che oggi ci si può porre è dotarsi di strumenti teorici, progettuali, estremamente flessibili e aperti. Quindi vorrei aumentare il tasso di flessibilità che noi riusciamo a dare agli studenti. Hanno capito, per esempio, tutti che la lezione frontale che può essere molto utile, intanto dovrebbe stare dentro una struttura di 20-25 minuti e non di un’ora, un’ora e mezza, e secondo può essere fornita in forma asincrona, cioè io metto tutta una serie di tutorial e tu vatteli a vedere. Questo è molto difficile nei bambini del primo ciclo, ma è assolutamente logico negli studenti delle scuole secondarie di primo grado. Il 60-70% degli studenti delle scuole secondarie di primo grado e il 95% degli studenti delle scuole secondarie di secondo grado è in grado di vedere un tutorial, un filmato su Youtube, un filmato pre-caricato e capirci cosa viene detto dall’altra parte. Quindi una parte di didattica per me va lì, va lì. E quindi, evidentemente, poi si tratta di sperimentare anche forme interattive di dialogo e di dibattito, di confronto e di approfondimento.

11:45 LAFFI.
Ora riassumiamo quali sono gli accorgimenti pedagogici suggeriti da Stefano Stefanel per mettere subito in pratica una didattica a distanza che ribalti alcuni assunti del mondo scolastico e sappia posizionarsi nella situazione in cui siamo precipitati ora. Vi raccontiamo alcuni accorgimenti che Stefano riporta anche in un suo articolo, intitolato “Alcune note sulla didattica a distanza”, pubblicato lo scorso 28 marzo su “edscuola”:
Secondo Stefano Stefanel l’errore è quello di cercare di far stare il vecchio nel nuovo e suggerisce di ribaltare alcuni stereotipi con questi passaggi:
- Passare dall’interrogazione al colloquio colto: un colloquio tra due persone che condividono punti di riferimento culturali di livello elevato (e connessi all’età del soggetto più giovane).
- Passare dall’esperienza di classe all’esperienza personale: con racconti, foto, musiche, filmati, selfie, restituire attraverso il web, il significato che ognuno di noi assegna a quello che sta vivendo.
- Passare dai compiti per casa ai compiti di realtà: passare, cioè, da un meccanismo didattico ripetitivo e connesso alla successiva verifica, alla descrizione della realtà dentro cui si vive.
- Passare dal disciplinare al pluridisciplinare: non chiedere nozioni o conoscenze secche, ma chiedere un ragionamento attraverso temi complessi e articolati, com’è la realtà.
- Passare dal fare i compiti allo scrivere libri: l’insegnante è il soggetto ordinatore, la scuola è l’editore, i ragazzi sono gli scrittori e il lavoro di gruppo diventa una traccia delle capacità di lavorare insieme.
- Infine passare dalla penna alla tastiera: la scuola deve entrare in questo meccanismo e passare alla priorità digitale dei suoi studenti.
Ecco Stefano, in questo tipo di sperimentazione nella tua esperienza in diversi ordini di scuole, quanto sono pronti gli insegnanti, quanto sono pronte anche le famiglie ad accogliere questo tipo di sfide?

13:48 STEFANEL.
Allora il mondo della scuola come anche la società italiana è conservatore, è molto favorevole all’innovazione se la fanno gli altri, sperimenta nella scuola vicina. Io però vedo degli ottimi segnali che possono essere colti solo se inseriti dentro una struttura di valutazione che valorizzi. Tu fai una cosa e io riconosco il valore a quello che fai, questo io credo che sia la sfida che dovrebbe venire dal ministero, dai dirigenti scolastici, dagli uffici scolastici regionali e provinciali. Attenzione, valutate tutto. Allora l’alternanza scuola lavoro che dà il liceo ti chiede che tu mi faccia vedere delle competenze, ma una volta che tu hai scritto questo libro in cloud io professore di italiano o io professore di scienze andrò a leggermelo per vedere se sono scritte stupidaggini o se sono scritte cose interessanti? Ma se sono scritte cose interessanti non ti darò solo le 12 ore di alternanza scuola lavoro di PCTO, ti darò anche un bell’otto in pagella. Cioè io credo che tutto questo meccanismo innovativo debba passare per i 10, non per i 6 e mezzo, 7 – -, per i 10, e il 10 è come il 30 all’esame universitario, non è che io so tutto, l’idea è che il professore universitario individua in me un soggetto competente in grado di interagire con la disciplina, giusto? Questa volta piglio 30, poi non so una cosa me la vado a vedere sullo smartphone e improvvisamente la so, dov’è il problema? Quindi io dico attenzione perché questi prevedono un meccanismo di valorizzazione alta, cioè, e allora se c’è un meccanismo di valorizzazione alta vedrai che insegnanti, genitori e studenti gli piace. È quando non serve a niente che non gli piace. Vai a fare delle belle cose, però dopo in storia hai preso solo 6, perché per fare quelle belle cose non hai avuto tempo di studiare storia, non funziona, non può funzionare più così.

15:40 LAFFI.
Grazie Stefano Stefanel.

15:43 STEFANEL.
Grazie a voi.

15:45 LAFFI.
Per approfondire ricordiamo il libro ‘Innovare il curricolo’, Armando editore, i diversi articoli pubblicati su edscuola, il sito del liceo Marinelli di Udine.

16:30 SPEAKER.
Potete continuare ad esplorare insieme a noi gli orizzonti della relazione educativa con i prossimi episodi su www.edunauta.it. Un progetto di Generas Foundation, post- produzione e audio di Erazero.