Relazione educativa, questa sconosciuta

L’educazione può accadere fuori dalla relazione?

Quanto incide una relazione consapevole e curata, sul risultato educativo?

 

Sono domande su cui hanno indagato in tanti, sin dai tempi di Rousseau che si immaginava un uomo potenzialmente buono quando non corrotto dalla relazione, passando per il curioso caso del selvaggio Victor, ritrovato nudo nella foresta dell’Aveyron a 12 anni, incapace di parlare per il resto della sua vita, nonostante gli svariati tentavi di educarlo alla parola, arrivando fino ad oggi.

 

Attualmente sembra che l’osservazione scientifica ritenga che si apprenda meglio e in modo più duraturo dentro rapporti aperti, positivi e in un clima di fiducia reciproca. Una buona relazione educativa è un’ipotetica catena causale tra ascolto, comprensione delle rispettive ragioni, disponibilità a interagire, cura del processo, trasparenza nella comunicazione, attenzione, clima disteso, apertura verso l’imparare.

 

Quando la relazione è curata, diventa possibile imparare con piacere e la collaborazione ne è una conseguenza spontanea. Invece, in un rapporto trascurato, quando un bambino, una bambina, un ragazzo o una ragazza non impara, non ascolta, oppure quando provoca, manca di rispetto, o ancora quando si creano situazioni di tensione e di conflitto, è proprio lì che a volte si apre uno spiraglio, un’occasione per scegliere di non scivolare facilmente nella lamentela e nel delegare responsabilità o attribuire colpe, ma rimboccarsi le maniche per agire e lasciar emergere l’umano di fronte alle sfide dell’educare.

 

La relazione però è rischiosa perché mette in discussione la precedente o presunta stabilità raggiunta dall’adulto; è temuta perché comporta coinvolgimento e sconvolgimento, perché presuppone una scelta, quella di voler ancora imparare, oltre che insegnare, quella di essere a nostra volta educati, oltre ad educare; è scomoda perché ci sposta dalla zona di comfort. Allora perché investirci? Potrei elencare diversi motivi ideali e poetici, ma lascio a ognuno trovare i suoi, mentre qui resto sul pratico: volenti o nolenti, la relazione avviene, con o senza il nostro consenso, a noi scegliere se agirla o subirla.

 

Il primo passo consiste nella capacità di leggere il contesto, di chiedersi qual è la propria narrazione della situazione: educatore, insegnante o genitore che sia, sta dalla stessa parte del bambino, della bambina, del ragazzo, della ragazza oppure in una situazione di due avversari che si affrontano? Il giovane è un oggetto da cui ottenere delle prestazioni, oppure è un soggetto di cui prendersi cura? Chiediamo abbastanza al bambino e alla bambina i motivi del suo vissuto? Se la situazione è difficile, è solo colpa di qualcun’altro o di qualcos’altro, oppure è possibile decidere, fare, risolvere? In poche parole, indaghiamo onestamente quanto siamo disposti a comprendere l’altro.

 

Sia InformAzioneCrescita che Hama, con i loro rispettivi podcast, ci invitano semplicemente a conoscere e praticare i meccanismi che sottostanno alla relazione, senza la quale una buona educazione diventa impossibile. I punti chiave per costruire una buona relazione educativa sono:

 

–       disporre una relazione simmetrica, in cui il valore e la dignità umana, tra adulto e bambino/a, sono riconosciuti pari, anche se resta un’asimmetria nel sapere, nella padronanza delle conoscenze;

–       accettare di interagire con la realtà così come si presenta, il ché ci permette di restare aperti e in relazione con l’altro, mentre entrare nel rifiuto o nella resistenza, perché vogliamo che le cose siano diverse, ci chiude e ci sposta dalla relazione. Quando ci si sente accettati così come si è, la relazione si libera da una tensione di fondo e diventa possibile costruire uno scambio vicendevole;

–       lavorare per una comunicazione chiara, di cui la comprensione reciproca è alla base, cioè riconosco di ascoltare per capire l’altro, di parlare per essere compreso e non per altri motivi, come ad esempio “per farmi valere”, oppure “perché l’altro faccia ciò che dico” e così via. Se rielaboro il contenuto che ricevo dall’altro sulla base dei miei vissuti, prima di mettermi in ascolto e comprenderlo, e viceversa, tolgo alla parola la sua bellezza e la investo di ferite, invece di consegnarle il suo potere di comunicare l’esperienza umana nella sua profondità;

–       predisporsi alla cura, che consiste nel salvaguardare il rapporto anche in presenza di contenuti difficili, nella capacità di insegnare senza ferire, perché nella ferita ci si chiude, ci si sente insicuri, mentre quando c’è cura, allora è possibile creare un clima disteso, in cui ci si sente sicuri e capaci di entrare anche nei propri contenuti dolorosi;

–       infine, stabilire un patto, un’alleanza, che si costruisce individuando delle mete comuni, degli obiettivi a cui tendere insieme, comunicare, ad esempio, che “ti chiedo questo” perché “ci tengo che tu impari” è il mio obiettivo e forse può essere anche il tuo.

 

Sono elementi complessi, da certi punti vista, perché non siamo abituati ad agirli consapevolmente, perché spesso ci chiedono un piccolo viaggio interiore per disinnescare i meccanismi ripetitivi dell’educazione che abbiamo ricevuto; per questo esistono molte realtà, come Hama e InfromAzioneCrescita, con persone che si dedicano alla formazione in questi ambiti. Anzi, proprio dai percorsi formativi che offrono sono tratti i punti dell’articolo.

 

Per vedere i passaggi descritti con un esempio concreto, ne ricordo bene uno, ascoltato una volta proprio dall’ideatrice del corso “L’arte di educare”, Silvana Tiani Brunelli: immaginiamoci in una situazione di vita quotidiana in cui chiediamo al bambino “Vestiti!” e non lo fa. Spesso la tendenza è quella di ripetere la richiesta verbalmente, fino a perdere la pazienza, fino ad utilizzare la minaccia o il ricatto e così via. Ma quando cerchiamo di aprire la porta con una chiave e non si apre, proviamo un’altra chiave del mazzo, non insistiamo sempre con la stessa. Invece, quando siamo in ambito educativo, pretendiamo che la stessa chiave funzioni in tutte le porte, e quando non va, forziamo la serratura fino ad arrivare, a volte, a romperla, a spaccare la relazione. Senza relazione, però, non educhiamo più, al massimo possiamo per ottenere dall’altro un risultato momentaneo, una prestazione, attraverso la paura, oppure rinunciare all’azione educativa e concedere.

 

Per evitare di oscillare tra paura e permessivismo è importante imparare a cambiare la chiave, modificare il modo e, riprendendo l’esempio del vestirsi, possiamo:

–       riconoscere che il bambino può non volersi vestire in quel momento perché vorrebbe giocare;

–       accettare di interagire con la situazione in cui il bambino non si vuole vestire, è così e non in un altro modo che ci piacerebbe di più;

–       ascoltare i motivi del suo rifiuto e capirlo, magari scopriamo che in realtà vuole solo una coccola dalla mamma o dal papà, per poi comunicare la nostra intenzione che si vesta perché è importante imparare a riconoscere il momento giusto per fare una cosa, piuttosto che l’altra;

–       nella cura, ad esempio, posso prendere la maglietta e porgergliela, chiedere se gli o le piace, invitare a dirci quando è pronto/a a vestirsi, spiegare che ora non è il momento di giocare, che però possiamo giocare in strada, una volta usciti di casa e proporre un gioco;

–       infine, individuare la meta comune in base alle capacità e alle possibilità del bambino/a, ad esempio “voglio insegnarti a vestirti da solo/a”, oppure “voglio insegnarti ad arrivare puntuale” e chiedere al bambino/a se possiamo essere insieme in questo, se anche lui o lei vuole, ad esempio, imparare a vestirsi da solo/a. Potrebbe anche rispondere di no, che non vuole stabilire un’alleanza con noi, e riportarci al punto dell’ascolto, che possiamo rimandare anche in un altro momento, se è arrivato il tempo di uscire, ma se restiamo fermi e amorevoli insieme, sono sicura per esperienza, che l’alleanza si crea. Allora e solo allora, è possibile educare.

 

La relazione è pericolosa perché comprende l’altro, lo prende dentro di sé e, se accolgo l’altro in me, cambio, non sono più quello di prima. Relazione vuol dire aprirsi a ricevere quello che l’altro mi consegna e allo stesso tempo essere disposti a dare qualcosa di noi: non è possibile la staticità o la stagnazione, è un continuo scambio in cui le parti crescono assieme: siamo un noi, come ci suggerisce il nome dell’associazione Hama (= noi siamo), siamo in due, in relazione.

 

Michela Calvelli

 

Ascolta i podcast: 

INFORMAZIONECRESCITA_Il valore della relazione in ambito educativo

HAMA_Come costruire relazioni di qualità in famiglia e a scuola

 

www.informazionecrescita.it

www.essereintegrale.com/hama/

 

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