Quale chiave utilizzare per educare alle emozioni?

Cosa sono le emozioni? Da dove vengono? Come possiamo esprimerle ed educare a viverle al meglio? Investigando il piccolo mondo del sentire che mi ha da sempre incuriosita e, ancor di più, dalla nascita di mia figlia, che, come ogni bambino, esprime le sue emozioni in totale apertura e naturalezza, ho scritto queste righe in rima:

 

Emozioni mischiate a sentimenti,

abbaglianti confondono ragionamenti,

insinuanti illusorie promesse

puntano false scommesse.

Sussultano nel cuore tumultuoso,

confondono pensieri in un turbinio vorticoso.

Sorgono dal desiderio, dalla paura,

risplendono sull’onda d’un’avventura,

tramontano nella quiete della nostra vera natura”.

 

La parola “emozione”… Secondo recenti studi l’emozione origina da un’interpretazione cognitiva di un determinato evento o stimolo esterno (evento attivante), condizionata da vissuti passati consci o inconsci e da una predisposizione biologica del cervello. Quindi, c’è un evento attivante, poi il modo in cui l’evento viene valutato e interpretato dalla persona e infine arrivano le conseguenze emotive. Possiamo gestire le emozioni se ci alleniamo ad osservare il processo scatenante, in noi stessi per primi, e poi nei nostri figli e figlie e/o alunni, alunne. Ahimè, partire da sé, in educazione, è quasi sempre il primo passo.

 

Se la parola “emozione” – che proviene dal latino “emovère”, “ex” (fuori) e movere (muovere) – significa “portare fuori”, pone l’accento su quanto sia naturale esprimere l’emozione vissuta, oppure comunicare con gesti e parole qualcosa che indica lo stato emotivo che si sta provando, meno naturale è saper comunicare bene la propria emozione, che produce la possibilità che l’altro capisca e che l’emozione evapori più rapidamente. Al contrario, quando non si sa comunicare l’emozione, la si trattiene o la si esprime solo attraverso un comportamento reattivo conseguente, è probabile essere ferenti, produrre incomprensione, conflitto, autosabotaggi.

 

La buona notizia è che le emozioni sono come nuvole che evaporano in un tempo più o meno breve e, quando sono gestite correttamente, insegnano qualcosa sul proprio modo di interpretare la realtà e lasciano un po’ più consapevoli di sé. La cattiva notizia è che, se sono trattenute o rifiutate, possono scaturire in azioni dirompenti, o ancora peggio, se si ripetono nel tempo determinati schemi cognitivi e le loro conseguenti emozioni, creano delle tendenze comportamentali che, in alcuni casi, possono sfociare in vere e proprie patologie come la depressione, l’ansia cronica e così via.

 

I casi che si verificano nel concreto e gli esempi possibili sono tanti quanti siamo noi essere umani probabilmente, soprattutto nelle sfumature di interpretazione della realtà. Leggiamo alcuni esempi di emozioni trattenute e ripetute, solo per capire come osservare il processo:

 

  • (evento attivante) si rompe il mio giocattolo preferito –> (interpretazione cognitiva) “Non avrò mai più il mio gioco preferito” abbinato a “adesso mamma e papà si arrabbiano” -> (emozione) tristezza e rabbia, mista a paura –> (comportamento) cerco di trattenere l’emozione fino al punto di tensione massima e poi inizio a buttare a terra tutti i giocattoli;

 

  • (evento attivante) l’insegnante mi chiama per l’interrogazione –> (interpretazione cognitiva) “tutti penseranno che sono uno stupido, perché non so parlare bene” –> (emozione) ansia –> (comportamento) cattiva performance –> (evento attivante successivo) nuova interrogazione –> (interpretazione cognitiva) “tanto non sono capace” –> (emozione) tristezza e ansia –> (comportamento) cattiva performance, e così via, fino a diventare l’unico tipo di esperienza vissuta negativa rispetto al ripetersi dell’evento attivante.

 

Per l’ultimo esempio vale la pena sottolineare quanto, nel percorso scolastico, le emozioni siano spesso viste come un limite, per cui nell’esperienza di alunni, alunne ed insegnanti, sono da tenere a bada e fuori dall’agire scolastico. In effetti, sembra che il rapporto tra attivazione emotiva e rendimento sia direttamente proporzionale: più attiva è l’emozione, meno sarà il rendimento.

 

Eppure, nessun pensiero o interpretazione cognitiva degli eventi è giusto o sbagliato in sé, così come nessun evento è negativo o positivo a priori, ma la chiave sta nell’essere consapevole di poter scegliere diversi modi di interpretare la stessa situazione, anche nuovi e voluti, anziché reagiti. Tutto quanto il processo è quindi il risultato di una valutazione o interpretazione mentale dell’ambiente circostante che, nella maggior parte dei casi, avviene velocemente e in modo inconscio: ci tengo a specificare che questo è lo studio delle emozioni che mi ha maggiormente aiutata nella gestione e comprensione delle stesse e nella loro educazione.

 

Per condividere le mie fonti, due autori contemporanei da cui ho preso spunto nel tempo sono stati Lisa Feldman Barrett, professoressa di psicologia americana e Eckhart Tolle, scrittore e oratore tedesco, definito a volte anche filosofo, oltre al conseguimento del master di formazione “l’Arte di educare” tenuto da Silvana Brunelli.

 

Quale chiave utilizzare quindi per educare le emozioni in modo costruttivo? La chiave del “sì”. Cioè? Accettare di interagire con la realtà così come si presenta, dirle un bel sì, qualunque sia la situazione, l’evento, il contesto. Accettazione, però, è diverso da approvazione o disapprovazione: possiamo ad esempio scegliere di accettare che il bambino ha appena rotto il bicchiere, accogliere che a volte può comportarsi in modo maldestro o distratto, ma disapprovare la distrazione e chiedergli di essere più attento. La forma di questa chiave consiste nel permettere al bambino o alla bambina di sentire l’emozione, poi aiutarlo/a ad esprimerla, verbalizzandola per lui o lei se necessario, infine chiedere di scegliere un comportamento che non sia lesivo per se stessi o per gli altri e lasciare che l’emozione evapori via.

 

Il ‘click’ che permette alla chiave di girare è il mantenere dentro di noi l’intenzione di dire sì a lui, a lei, così com’è. Il nostro rifiuto, il nostro “no”, il nostro “non devi essere così”, il volere che la situazione sia un’altra, crea nel bambino o nella bambina un’emozione negativa, si sente forzato/a, sbagliato/a. Molto più funzionale è, ad esempio, invece di dire “dai, non brontolare” “dai muoviti”, provare a dire “comprendo che non vuoi fare quella cosa” e ti chiedo di “provare ad accettare che ora la situazione è questa”. Allora è possibile ottenere collaborazione, non forzatura, e aiuteremo il bambino o la bambina ad imparare ad accettare la realtà, anche quando è diversa dai suoi desideri o aspettative.

 

Certo la vita è fatta anche di insoddisfazioni, delusioni, sofferenze e così via. A noi la possibilità di coglierle come occasioni di comprensione di noi stessi, oppure perpetuare i meccanismi reattivi con cui interpretiamo la realtà. Ad esempio, per restare nel campo delle emozioni, un evento scatenante che si verifica spesso è: quando nostro figlio piange in pubblico, l’interpretazione dell’adulto semplificata, mediamente, corrisponde a qualcosa del tipo: “il bambino piange, è cattivo, fa i capricci”, e quella del genitore: “penseranno che sono incapace, forse, sono davvero incapace”, poi si cerca in modi diversi di azzittire il pianto del bambino. Proviamo ora ad utilizzare insieme la chiave: il bambino piange in pubblico, io dico “sì”, “il bambino sta piangendo, scelgo di interagire con la realtà così com’è”, offro a lui tutta la mia attenzione, so cosa fare, lo accolgo, comprendo la sua emozione, le diamo un nome, e poi troviamo insieme un modo costruttivo per rispondere alla situazione. Attenzione solo a non chiedere al bambino “perché piangi?”, perché non sarà in grado di rispondere alla nostra domanda così formulata, piuttosto possiamo dirgli qualcosa del tipo: “Dimmi quello che provi, come ti senti?” “Sono qui per te, per accoglierti”.

 

Non sto invitando a credere quanto scrivo, ma a provare a metterlo in pratica. Io l’ho fatto e ho visto quanto funzioni. In pratica, quando arriva un’emozione arriva e basta, non bisogna “non farle venire”, ma essere onesto e mettere in pratica due attenzioni: 

1) impegnarti ad accettare di interagire con la realtà così come si presenta, emozione compresa, se la rifiuti, cerchi di non farla emergere, è peggio; mentre puoi accorgerti che stai rifiutando la realtà per quella che è e dirle un bel “Sì”, “Tu, realtà di adesso, sei il dono di questo momento, qualunque sia la faccia con cui viene a me!”

2) Osservare quale interpretazione della realtà ti sta propendo la mente, spesso è uno schema che produce una reazione: se lo smascheri, cercando di essere consapevole dell’interpretazione cognitiva che stai attribuendo a quella situazione, allora è possibile scegliere di provare a vedere la realtà in altri modi, scegliendo e dirigendo la propria azione.

3) Comunicare all’altro la propria emozione aiuta a farla evaporare via ed evita incomprensioni.

Non è ovviamente l’unico modo possibile di educare alle emozioni, è solo quello che ho scelto io, ed è per questo che posso scriverne. Insomma, prima di insegnare qualcosa, è necessario trovarlo non nelle idee, ma nella pratica, prima nella nostra e poi in quella verso i figli, figlie o gli alunni.

 

Sara, nel podcast “Io Sono”, ci racconta la sua esperienza educativa in questo modo: “Manca ancora l’ingrediente segreto per il cambiamento nel paradigma educativo e l’ingrediente sono le emozioni. Perché per lavorare correttamente con l’ambiente, i bambini, la comunità bisogna imparare a gestirle. Dove gestirle non significa reprimerle o limitarle, ma imparare prima di tutto a conoscerle, poi ad esprimerle in maniera corretta verso se stessi e verso gli altri, imparare a condividerle per creare intorno noi la giusta empatia, che poi è la chiave per vivere le relazioni soddisfacenti e non solo conflittuali”.

 

Un piccolo grande segreto delle emozioni risiede nel saper provare quello che l’altro sta provando assieme a lui, davvero questa empatia è come il calore con le nuvole, un acceleratore dell’evaporazione dell’emozione. I ragazzi nel podcast “Movimento 100%” tra le righe raccontano proprio la differenza che ha fatto nella loro vita trovare un luogo in cui essere liberi di esprimere le loro emozioni e comprenderne l’origine, così Davide, ne esprime l’effetto: “Ci sono certe cose di cui tutti abbiamo bisogno per essere sereni nella vita: una di queste è l’amicizia, l’affetto, la gentilezza, l’aiutarsi per creare qualcosa di grande insieme. Io ne sono stato privato e l’Associazione Movimento 100% mi ha aiutato a trovarle, motivo per cui ho versato tante lacrime”.

 

Non so cosa sarà per te e se vorrai scrivermelo nei commenti sarò lieta di leggerlo. Per me ora è stata un’immersione interessante nel tema e un ricapitolare cosa funziona nella mia quotidianità: ringrazio sempre per questa opportunità. Quel “sì” è la chiave segreta che mi cambia la vita, proprio senza voler cambiare nulla, paradossalmente, si apre la possibilità per una trasformazione vera e duratura.

 

Michela Calvelli

 

 

Ascolta i podcast: 

IO SONO_L’ingrediente segreto è educare alle emozioni

MOVIMENTO 100%_Come trasformare il disagio adolescenziale in opportunità di crescita

 

www.associazioneiosono.it

www.movimento100x100.it

 

 

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