Come funziona il mondo?
Chi sono io? Perché sono qui?
La risposta a queste domande si riferisce a due tipi di conoscenza ben precise: la prima risponde ad una conoscenza tecnica e oggettiva, mentre la seconda ad una umana e soggettiva. Una convinzione diffusa e spesso indiscussa, come tutte le convinzioni che poi diventano convenzioni, ritiene che il merito del progresso umano vada tutto a favore del primo tipo di conoscenza, quella tecnica, scientifica, oggettiva. Il desiderio di sicurezza insito nell’essere umano e la conseguente paura della propria vulnerabilità, forse, sono stati una grande spinta nell’operare verso una conoscenza del mondo oggettivo per produrre cibo, mettere il corpo al riparo, spostarci, coprirci, scaldarci, ecc.
Ma fino a che punto ha senso alimentare questo sviluppo, quando diventa sfruttamento e competizione, perdendo completamente di vista il perché?
Le più grandi idee e invenzioni che l’uomo ha regalato a se stesso sono state originate da esseri umani che possedevano una vasta conoscenza di sé, in molti casi, ne abbiamo una documentata testimonianza, da Leonardo Da Vinci ad Albert Einstein. Sapere come funziona una legge e perché rispettarla, sono due lati della stessa medaglia. Così, sapere come funzionano le cose del mondo e perché esistiamo, perché interagiamo con queste cose, sono parte di un’unica esperienza, quella umana. Ma come mai fuggiamo così tanto dalla conoscenza di noi stessi?
Se sapere come funzionano le cose ci rende capaci di utilizzarle, la conoscenza di noi stessi rende vero il motivo per cui le stiamo utilizzando, dona significato all’esperienza, ci permette di scegliere in linea con la nostra essenza e di essere soddisfatti di quello che facciamo, però, ci mette di fronte alla nostra vulnerabilità. Se per la sfera oggettiva, in campo educativo, si investe tantissimo, con istruzioni chiare e ben delineate, con un punto di inizio e uno di arrivo, per la seconda metà della sfera bisogna arrangiarsi e sperare di riuscire a mettere insieme quanto basta di noi stessi per mantenere un buon equilibrio psicologico e, se va bene, “godersi la vita”.
Se siamo la persona con cui passiamo la maggior parte del nostro tempo, è anche vero che abbiamo bisogno di conoscerci per vivere una vita gratificante. Per possedere un buon equilibrio psicologico ed essere sereni, quindi apprezzare davvero la vita, è impossibile non passare per la conoscenza di sé. Ovviamente anche l’eccessiva enfasi su questo secondo tipo di sapere porterebbe ad uno squilibrio, ma ora stiamo vivendo in un’epoca in cui il pendolo è bloccato dall’altra parte.
La conoscenza oggettiva definisce ciò che è giusto o sbagliato, legato al funzionamento delle cose, mentre la conoscenza soggettiva ci rivela ciò che è vero o falso per ciascuno. Spesso la confusione generale sul tema, porta a pensare in termini di giusto o sbagliato anche nel campo soggettivo, per cui un’ideologia diventa giusta e un’altra sbagliata, invece di mostrare una rappresentazione della realtà che uno ritiene più vera, con cui si identifica per una serie di convinzioni o convenzioni più o meno autentiche, impartite, frutto di condizionamenti culturali e sociali.
Un recente studio del 2020, realizzato da un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins University, dimostra che una visione realmente oggettiva del mondo, per noi esseri umani, è impossibile. “Il nostro punto di vista soggettivo sul mondo resta sempre con noi” riassume il primo autore dello studio Jorge Morales, “anche quando proviamo a percepire il mondo com’è realmente, non possiamo scartare completamente la nostra prospettiva“.
Allora conoscere se stessi diventa davvero fondamentale anche per non restare intrappolati dentro strette e rigide prospettive, che impediscono di vedere la realtà e di andare oltre: verso noi stessi. Possiamo quindi scoprire perché percepiamo così una determinata situazione, quali condizionamenti agiscono in noi, quali significati le attribuiamo e perché, andando a comprendere le modalità con cui avviene il pensiero.
Un esempio è raccontato nel podcast “Crescere Educare Agire” che, attraverso un team di allenatori ed educatori, lavora con i bambini e le bambine per accompagnarli nella scelta dello sport. Può sembrare banale o scontato, proprio perché non siamo abituati a prestare attenzione alle motivazioni delle scelte nostre, dei nostri figli e delle nostre figlie, ma Giulia, educatrice sportiva, sottolinea “l’importanza dello sport per lo sviluppo della sfera relazionale per i bambini dai 6 agli 11 anni, così come scegliere lo sport giusto per non abbandonare alla prima difficoltà”. Poi aggiunge: “Riveste un ruolo fondamentale la comprensione del concetto di sé e dell’altro. Lo sport, inteso come gioco di regole e come esperienza sociale, aiuta il bambino ad accrescere la propria auto-consapevolezza (…) Di solito si dice che ‘chi ben incomincia è a metà dell’opera’, ma quando si tratta di scegliere lo sport da praticare, magari a 6 o 7 anni, come sappiamo se è la scelta giusta? Che stiamo cominciando bene? In realtà sembra più un salto nel vuoto, dettato da motivazioni come: ‘l’ho visto in tv e sembra divertente’, ‘lo fanno tutti i miei amici e voglio provarci anch’io’, ‘se non imparo mi escludono dagli intervalli’, ecc. Ma la scelta di uno sport è un po’ più complessa di così”.
Nei podcast “Crescere Educare Agire” e “Agita”, le rispettive organizzazioni provano a riequilibrare l’ago della bilancia, una attraverso lo sport, l’altra utilizzando il teatro educativo, integrando i due tipi di conoscenza in percorsi che prevedono l’esplorazione di sé, dei motivi delle proprie scelte, in occasioni di relazione umana, strumento indispensabile per procedere nell’esplorazione della propria verità, quella autentica e non quella condizionata, che appunto non è più verità.
Secondo una teoria emergente dell’individualità non si può essere ridotti a un corpo, a una mente o a un particolare ruolo sociale, ma siamo più simili ad un network in continua trasformazione. In un articolo pubblicato sulla rivista Aeon, secondo Kathleen Wallace – professoressa di filosofia alla Hofstra University di Hempstead, New York, che si occupa di etica e metafisica dell’identità personale ed è autrice di “The Network Self: Relation, Process, and Personal Identity (2019)” – spiega che “l’autodeterminazione dipende dalla conoscenza di sé, dalla conoscenza degli altri e del mondo che ci circonda. Anche le forme di governo sono basate sul modo in cui comprendiamo noi stessi e la natura umana. Quindi la domanda “Chi sono io?” ha implicazioni di vasta portata”.
Secondo la sua interessante visione, possiamo indentificarci in vari modi che dipendono dalla nostra eredità, etnia, religione, razza, storia personale, malattie, ecc., ma siamo sempre mutevoli e fluidi, in quanto la percezione di noi stessi a 5 o a 35 anni cambia radicalmente. Inoltre, la nostra identità può essere fratturata, quando altri prendono una nostra identità come definizione di tutti noi stessi, oppure quando la discriminano, la ferita provoca una spaccatura nell’identità che entra in lotta con se stessa. “Quando le persone cercano di fissare l’identità di qualcuno come una caratteristica particolare, possono portare a incomprensioni, stereotipi, discriminazione. La nostra retorica attualmente polarizzata sembra fare proprio questo, bloccare le persone in categorie ristrette”. Così capita anche agli allievi che entrano a scuola oppure, senza esserne consapevoli, anche all’interno della stessa famiglia che un bambino, una bambina o dei ragazzini/e diventino: ‘studiosi’ ‘lazzaroni’, ‘educati’ ‘maleducati’, ‘brava gente’ ‘cafoni’, ‘bianchi’, ‘neri’, ‘cristiani’ ‘mussulmani’, ‘pro vax’, ‘no vax’, ‘immigrati’, ‘italiani’, ecc. Ma i sé sono molto più complessi e ricchi di così.
La scoperta di sé è un viaggio che perdura tutta la vita e, vista la sua portata, sarebbe bene iniziare ad attrezzarsi sin da subito. Dalla conoscenza di sé dipende la capacità di indirizzare la propria vita, oppure di subirla. “Platone, molto prima di Freud, riconobbe che la conoscenza di sé è una conquista provvisoria e conquistata a fatica. Il processo di auto-interrogazione e di auto-scoperta è in corso per tutta la vita perché non abbiamo identità fisse e immutabili: la nostra identità è multipla, complessa e fluida”.
Il viaggio inizia da noi e finisce in noi, ma lo spostamento è enorme quando si è disposti a partire.
Michela Calvelli
Ascolta i podcast:
CR.E.A._CRESCERE EDUCARE AGIRE_Come indagare la scelta dello sport adatto
AGITA_Fare teatro per essere cambiamento