Per dire in poche parole cosa sono le life skills, possiamo chiamarle “la capacità di stare al mondo”, forse i nostri nonni le chiamerebbero semplicemente così.
Ancora oggi, nel 2022, nonostante lo sviluppo di queste “competenze per la vita” tanto caldeggiato in ambito sia lavorativo che educativo, possiamo riconoscere facilmente che l’educazione si occupi ancora molto poco, se non per nulla, dello sviluppo concreto di tutto ciò che concerne la sfera umana (emotiva, cognitiva ed affettiva), dalla complessità delle competenze relazionali ai perché che alimentano l’agire, dalla capacità di prendere decisioni all’abilità di gestire le emozioni e così via. Nel gennaio del 2022, però, in Italia passa una legge all’unanimità che assegna all’azione educativa scolastica il compito di sviluppare le life skills.
Perciò, a scuola, dal 2023, si impareranno gli aspetti affettivi, relazionali, corporei, etici, spirituali e gli insegnanti dovranno saper rispondere ad individui che sollevano precise domande esistenziali. Punti già di fatto enunciati nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione” nel 2012, ma, passati 10 anni, di fatto, nessuno si occupa dei processi e delle necessità di cui hanno bisogno gli educatori per poter entrare in un tale e reale dialogo educativo.
L’educatore e l’educazione stessa sono in crisi, insegnanti e genitori denunciano la fatica e l’impossibilità percepita di educare le giovani generazioni che hanno di fronte. Sono messe in discussione la possibilità e il senso stesso dell’educare. Adesso, che sono legalmente chiamati a diventare maestri di vita, come passeranno da una sponda all’altra del guado?
Si rileva socialmente la percezione di un generale declino del ruolo della scuola nella vita sociale e nella vita individuale, e soprattutto un deficit di credibilità sempre maggiore. L’educazione, oggi (in tutte le principali istituzioni educative: dalla scuola, alla famiglia, passando per tutti i centri e servizi educativi collaterali), si concentra quasi esclusivamente nel conformare a degli standard sociali e a trasferire nozioni e competenze tecniche, tralasciando quasi completamente o lasciando “al caso” lo sviluppo di tutti gli aspetti psicologici e umani che formano la persona nella sua totalità.
L’importante è che il figlio prenda 10, che arrivi tra i primi nello sport, che tutti si complimentino con il genitore di quanto sia bravo. Peccato che spingersi troppo sulla tecnica e sul come, senza predisporre e costruire uno spazio reale in cui interrogarsi sui tanti perché che spingono il bambino ad agire, svuota la stessa “tecnica” del suo significato più profondo. Insomma, sempre per dirla come la direbbero i nostri nonni, la conoscenza senza la capacità di stare al mondo, non serve a un granché alla lunga, al massimo ci aiuta a prendere dei bei voti finché perdura la carriera scolastica.
Quando il bambino, poi giovane adulto, si trova di fronte alla complessità dell’esistere, dove la conoscenza si intreccia con il saper rispondere e attraversare sfide relazionali, che si scontrano con gli imprevisti, con le aspettative, con le proprie fragilità, che a loro volta si sommano tra loro in un unico istante, allora il piccolo campione di mamma e papà crolla, si trasforma in un essere umano, finalmente, e ha bisogno di essere riportato a sé, alla sua sfera più umana e intima, ad entrarci in dialogo e imparare a ritrovare quelle risorse che non dipendono più dall’approvazione di un sistema, dal “bravo” detto, ridetto e ripetuto, ma dalla sua abilità di stare il mondo.
Torniamo ora alla conoscenza, di cui comunque abbiamo bisogno, e individuiamo dove la letteratura ricerca e individua le cause della crisi o emergenza educativa. “Emergenza educativa” sembra sia un’espressione che scaturì un po’ di anni fa, in alcuni paesi latinoamericani, relativa ad alcune misure educative che i governi volevano implementare in territori scarsamente scolarizzati o che richiedevano programmi speciali, dal momento che erano poveri e marginalizzati.
In seguito, l’espressione fu ripresa in ambito ecclesiastico e poi da alcune organizzazioni internazionali, fino ad acquisire un significato più profondo, eclissando il significato originato da alcune misure di tipo amministrativo e diventando sinonimo della crescente legittimazione del bisogno di un’educazione che comprenda l’interezza umana e risani le evidenti falle sociali di un sistema degenerante. Da allora questa espressione fu usata e commentata in molti ambiti – ecclesiastici, istituzionali, sociali, politici, laici, eccetera.
Suggerisco, qui, di provare a sostituire il termine emergenza con questione, così è più facile riconoscere che la questione educativa attraversa la storia umana da sempre. Da che esiste l’uomo e il suo procreare, si è posta in tanti modi la questione dell’educare. Allora, oggi come mai, la questione educativa è socialmente percepita come “emergenza”, come fossimo di fronte ad una catastrofe?
Ora proviamo a riassumere le cause dell’emergenza educativa che sono attualmente individuate e riconosciute. In genere l’emergenza educativa è:
- il sottoprodotto della transizione della nostra civiltà in corso, della rivoluzione bio-tecnologica, dell’informatica, della globalizzazione;
- l’incertezza radicale circa il futuro e i destini individuali, in cui il passaggio del testimone da una generazione all’altra diventa impossibile o molto difficile;
- il sottoprodotto di un modello educativo scolastico costruito fin dal XVI secolo e durato fino agli anni ’70 del XX secolo, basandosi sul centralismo statale, sull’enciclopedismo, sull’egualitarismo di cittadinanza, dentro un recinto istituzionale, organizzativo e pedagogico-didattico sempre più autoreferenziale e obsoleto;
- la crescente difficoltà dei giovani nel delicato passaggio tra scuola e lavoro, evidenziato, almeno in Italia, dal continuo aumento della percentuale di ragazzi e ragazze in condizione di abbandono scolastico senza ingresso nel mercato del lavoro, i cosiddetti Neet;
- la carenza nell’affrontare tutti gli aspetti delle qualità umane della crescita, legate alla costruzione e sviluppo di un senso di sé, dei propri valori; alla capacità di leggere e attraversare le proprie emozioni; alla comprensione dei propri aspetti psicologici e delle condizioni sociali che li generano.
Voglio ora tracciare alcune possibili sfide a cui siamo tutti chiamati, perché genitori o no, siamo tutti figli e figlie del nostro tempo e creatori del nostro domani, vera ed unica eredità umana. Una sfida è quella di ricostruire una scuola, una famiglia che siano in grado di rispondere alla complessità del tempo storico in cui sono inseriti. Penso, ad esempio, al suggerimento di un dirigente scolastico italiano, Franco Lorusso, che immagina “un piano esperto di supporto alla ‘trasformazione culturale dei docenti’, sostenuto e animato da ‘agenti di sviluppo’ accorti e competenti che avviino nelle singole scuole iniziative semplici di condivisione e di riflessione sulle relazioni e sul fare scuola. Iniziative che non calino dall’alto, ma realizzate dallo specifico contesto della singola scuola, e che siano realmente centrate sulle personalità in gioco, che siano garbatamente indotte a mettersi in discussione, a confrontarsi e a condividere difficoltà e modi di essere e che siano gradualmente accompagnate, mano a mano, in un processo di evoluzione professionale ed umano”.
Un sogno ad occhi aperti! Poi ci si sveglia e ci si accorge che l’ostacolo risiede nella pervasiva e inconsapevole filosofia umana secondo cui “è più facile continuare a soffrire che cercare una soluzione mettendosi in gioco”, come osserva lo stesso preside.
Oppure c’è la sfida di una giovane pedagogista, Emily Mignanelli, che realizza una scuola, dall’asilo alle secondarie, che punta sull’educazione degli adulti, sul recupero e la guarigione della propria infanzia, attraverso percorsi pedagogici e psicologici che possano far maturare educatori consapevoli delle risonanze emotive e relazionali che riversano nell’educare figli, figlie, alunni ed alunne, affinché possano evitare che condizionino inconsapevolmente la loro azione educativa.
Infatti, è proprio qui che “casca l’asino”: com’è possibile che gli stessi educatori che andrebbero educati a sviluppare le proprie “life skills”, diventino improvvisi esperti dell’arte di vivere? Secondo il Ministero ciò è possibile con qualche ora di formazione. Inoltre, l’idea che la sola scuola basti a preparare alla vita, è legata ad una visione scuola-centrica che forse, poteva andare bene per preparare all’ingresso nel mondo del lavoro fino agli anni ’70 del secolo scorso. La società attuale che richiede una forte evoluzione in termini di flessibilità, orientamento al cambiamento e capacità di gestire emotivamente l’imprevisto, ha bisogno di individui adulti già consapevoli delle proprie abilità umane.
Un tale cambiamento e passaggio di consapevolezza umana, richiede ben più di qualche ora di formazione per insegnanti. La buona notizia, che non può mancare, è che non siamo persi: esistono diversi settori in cui esseri umani dedicano e hanno dedicato la loro esistenza allo sviluppo di tali “competenze per la vita”. Uno di questi settori è proprio il Terzo Settore italiano, ricco di realtà non profit, che tessono silenziosamente le loro tele, capaci poi di guidare i giovani nelle trame della complessità umana, senza annodarsi al primo intreccio e imparando a sciogliere sapientemente gli eventuali nodi.
Ma dov’è possibile trovare queste realtà? Com’è possibile farci accompagnare da loro per diventare educatori adulti più abili? Cercando su google? Da madre, da educatrice, anch’io cercavo e non trovavo, leggevo e vagavo nel mare delle informazioni, così, insieme alla squadra con cui lavoro abbiamo iniziato a tracciare le rotte di queste organizzazioni e a raccontare le storie degli esseri umani che le abitano attraverso i podcast della serie “Rotte Educative” e abbiamo così creato Edumappa (https://edunauta.it/edumappa/), la mappa narrata dei servizi educativi italiani che rispondono a determinati criteri educativi. Così è possibile navigare in un pianeta ricco di realtà virtuose, mappate per gli esploratori dell’educare, dai coraggiosi cartografi di Edunauta – come ci ha definito Cheiron, una delle organizzazioni da noi individuata. Tutti i servizi educativi all’interno della Edumappa, infatti, sono realtà che si umanizzano, offrendo un’educazione che recupera il valore della relazione, che si rigenerano e si mettono in dialogo, con percorsi attivi e partecipati, coinvolgendo scuole, servizi del terzo settore, istituzioni e famiglie.
Adesso, sappiamo che è possibile trovare realtà che ci accompagnano nel delicato compito educativo, umanizzandolo, aiutandoci ad essere educatori più consapevoli e maturi, per cui diventa nostra responsabilità metterci in gioco, non è più possibile sottrarci senza lasciare indelebili tracce nella nostra coscienza.
Michela Calvelli