“La scuola, l’educazione devono servire i bambini o sono i bambini che servono la scuola e l’educazione?”
Prendo questa domanda dall’introduzione del podcast Fosforo, aprendo un’indagine importante sul senso profondo dell’educazione. Quando creiamo un modello, un metodo, in campo didattico, così come in ambito famigliare, il rischio è di amare più il nostro modello del bambino stesso. Non esagero a scriverlo. Ad esempio, se mi innamoro di un metodo che divide il bambino in categorie in base alle sue predisposizioni caratteriali, che nel suo modo di esprimersi deve essere creativo, oppure calmo, guarderò il bambino con le lenti di quell’ideale che ho adottato, e non sarò più capace di vederlo per quello che è, di indagare i motivi profondi del suo comportamento, ma cercherò al contrario di adattarlo al metodo o al sistema che ho sposato. Quindi vedrò il bambino alla luce dello schema di comportamento che per me è ideale e cercherò di forzare il bambino a conformarsi a quello schema. Il processo di adattamento così formulato è talmente socialmente condiviso e dato per scontato che non lo si nota nemmeno, non lo si mette minimamente in discussione. Io stessa, pur percependo qualcosa di sbagliato, faticavo a trovarne l’origine profonda, finché non sono stata aiutata da una lettura illuminate, che svelerò più avanti.
Si formano nella nostra mente, quasi a nostra insaputa, degli ideali di comportamento, cioè un’idea di come il bambino dovrebbe essere, che sostituisca quello che è. Proiettando sul bambino o sul ragazzo l’immagine ideale che abbiamo in mente, gli chiediamo poi di adattarvisi, attraverso la disciplina, oppure quello che chiamiamo a volte erroneamente rispetto, forzando un determinato comportamento.
Ovviamente la disciplina ha un duplice significato, quella intesa come impegno serio per perseguire un proprio valore non è qui presa in considerazione, mentre stiamo approfondendo il significato della disciplina intesa come imposizione. Tu, ti senti rispettato quando qualcuno o qualcosa ti viola nella tua libertà di scelta, costringendoti ad agire in un determinato modo? Questo in verità si chiama abuso di potere ed è talmente diffuso, da essere considerato normale, stride solamente quando si manifesta in modo così eccessivo da diventare talmente evidente da non poter essere ignorato.
Il rispetto si attua quando lascio all’altro la libertà di scelta, perciò non abuso del mio potere, ma indago in una relazione intima quelli che sono i valori e le motivazioni profonde del bambino e del ragazzo che ho di fronte. In questa relazione intima c’è comprensione e posso spiegare le motivazioni per cui lo invito ad agire in un determinato modo: la spiegazione – che in caso di bambini piccoli deve essere resa il più semplice possibile, anche con un racconto o una storia – può comunque non essere sempre comprensibile a causa delle capacità cerebrali e di sviluppo del bambino e, in quel caso, è possibile chiedere di donarci la sua fiducia, di affidarsi a noi e provare a seguire l’indicazione data, ma dovrebbe restare sempre una sua scelta.
Nel perseguire la relazione e l’intimità, a volte, posso scoprire che il pensiero, l’ideale che avevo all’inizio dello scambio, alla fine dello stesso si è trasformato, si è approfondito, oppure accorgermi di non conoscere profondamente dove collocare il valore e il significato di quello che sto chiedendo: così è possibile crescere insieme. Certamente più l’adulto è capace di entrare in una relazione intima e profonda, più rende efficace e vera la sua capacità di rispettare e accompagnare alla propria maturazione insieme.
La coercizione, la forzatura per adattare i bambini e i ragazzi a un determinato sistema, rende onore al sistema stesso, che si piega su se stesso e si svuota, dimenticando che è al servizio dell’essere umano. Inoltre, quando lo studente o il figlio è costretto in un determinato comportamento, obbligato “a sopprimere un aspetto della sua natura a favore di un altro, significa creare in lui un conflitto senza fine, che ha per conseguenza l’antagonismo sociale” (J.Krishnamurti, in Educare alla Vita, 2009: ecco svelata la lettura di cui sopra). Il tipo di rispetto imposto con la disciplina crea paura e conflitto interiore, insegna l’abuso di potere e la trasgressione. Inoltre, da questo falso mito individuale, nasce il sistema istituzionale che oggi educa i nostri figli. Quando il sistema, l’ideale, diventano più importanti degli esseri umani a cui sono destinati, svuotano di significato e di cura la relazione umana e l’educazione stessa.
Lo stesso Fosforo, da cui abbiamo tratto la domanda iniziale, racconta nel relativo podcast cosa significa rendere l’educazione al servizio dei bambini, basando i suoi laboratori esperienziali per le scuole su questo presupposto: “Cosa vuol dire che la scuola deve servire ai bambini? Riteniamo molto importate scoprire quali sono i valori autentici: bisogno di stare bene con se stessi, bisogno di stare bene con gli altri e bisogno di stare bene con la società. Stare bene con la società non vuole dire adattarsi ad una società fissa, ma vuol dire essere in grado di diventare adulti che costruiscono la propria società. Se riusciamo a far capire questo ai bambini, la motivazione sboccia”. Così, mi domando cosa significa stare bene con se stessi, con gli altri e con la società, ritrovando nella capacità di comprendere se stessi e di comprendere l’altro e la società, una porta di accesso.
Mentre il podcast La Fabbrica dei Suoni rimette al centro un elemento indispensabile per rendere reale il suddetto presupposto: l’ascolto. “L’ascolto è qualcosa di fondamentale non solo per la musica, ma anche per la vita”, ricorda Gabriella, dicendoci anche le quattro parole che riassumono i laboratori esperienziali musicali offerti da questo gruppo di musicisti appassionati: “accoglienza, sorriso, energia, attenzione, il tutto condito dalla passione, una passione esente dall’abitudine”. (…) “Accoglienza, perché noi siamo sempre stati accolti con semplicità e tanto cuore; energia perché ci dava una carica, eravamo caricati nel momento dell’attività ma anche dopo, nei momenti conviviali, nel pranzo (…); sorriso perché il sorriso aiuta veramente anche a creare un’atmosfera (…); attenzione perché qui veramente mi sono accorta che c’era cura verso tutti, da quello che faceva bene la musica, a quello che faticava, a quello che non voleva inserirsi nel gruppo, che veniva lasciato tranquillo e poi piano piano coinvolto”. Sempre parafrasando le parole di Gabriella, è un percorso che fa entrare i ragazzi nel mondo sonoro, senza essere forzati nell’assorbire nozioni o informazioni particolari, ma acquisendole attraverso il vissuto, con rispetto, “importante è trovare un modo per entrare in dialogo, in relazione, con chi hai davanti”.
Come possono esserci sincerità e collaborazione autentici tra coloro che hanno il potere e quelli che lo subiscono? Questa frase di Krishnamurti mi ispira ad impegnarmi a fondo per comprendere davvero il senso del mio educare, andando oltre: “Deve esserci un profondo insight circa le motivazioni nascoste dell’autorità e del dominio. Se capiamo che l’intelligenza non può risvegliarsi attraverso la coercizione, la semplice consapevolezza di questo fatto spazzerà via le nostre paure e potremo cominciare a coltivare un nuovo mondo opposto all’ordine sociale attuale, e che lo trascenderà di molto”. Forse questo passaggio non è così semplice come a dirsi, ma è sicuramente possibile come ci raccontano i due podcast, e dipende proprio da ciascuno di noi, individualmente, in quanto la società e i sistemi siamo proprio noi, siamo noi a crearli, perpetuarli e trasformarli.
Michela Calvelli
Ascolta i podcast:
FOSFORO_Come rendere reale l’apprendimento scolastico
LA FABBRICA DEI SUONI_Usare suoni e rumori per creare relazioni