Insegnare e imparare: attività che avvengono in modo naturale e spontaneo, oppure è necessario conoscere quali sono i meccanismi e i passaggi per renderle reali, concrete?
Diciamo che imparare è un’esperienza umana che avviene attraverso alcuni canali, che dalla nascita all’età adulta diventano man mano più complessi e che si sommano tra di loro:
- alla nascita il bambino impara principalmente per osservazione e imitazione;
- a cui si aggiunge l’elemento della relazione, per cui apprende nella relazione;
- a cui si somma la sperimentazione autonoma, quindi impara per prove ed errori;
- con annessi altri due elementi, fondamentali nell’epoca scolastica, la motivazione e la volontà.
Se il nostro fine è quello di apprendere qualcosa, sappiamo che tutti questi elementi sono implicati in quello che viene definito il processo di apprendimento: cioè il viaggio che si compie dal punto di partenza in cui “non sappiamo” al punto di arrivo in cui “sappiamo”, ad esempio, dal “non so camminare” al “so camminare”. Per imparare a camminare il bambino osserva, imita, entra in relazione con qualcuno che conosce e gli può mostrare; sperimenta e ottiene il risultato finale attraverso una somma di esperienze sostenute dalla motivazione e dalla volontà. Fantastico, sembra semplice!
Nell’esperienza concreta dell’apprendimento scolastico, però, spesso le cose si complicano. Se imparare è qualcosa di naturale e spontaneo, allora cosa succede a tutti quei ragazzi che sembra non vogliano imparare più?
Proviamo ad indagare insieme. L’esito finale dell’imparare avviene grazie a due componenti: cosa insegno e come lo insegno e quindi cosa imparo e come lo imparo. Nel come insegno e come imparo, rientrano tutti gli ingredienti dell’esperienza dell’apprendimento, del viaggio di cui abbiamo menzionato sopra.
Lasciamo per il momento da parte il “cosa” imparo/insegno (il contenuto) e concentriamoci sul “come” (il processo): la modalità di insegnamento dell’adulto, determina il rapporto che il bambino instaura con l’esperienza di apprendimento, con il suo viaggio nel mondo della conoscenza. Il tipo di viaggio è vincolante sul risultato finale: se ho una esperienza negativa del processo di apprendimento, avrò un risultato povero, avrò appreso poco e male; mentre se sto sperimentando un’esperienza piacevole che sento rispondere ad un mio bisogno, il risultato sarà ottimale.
Ok, ma come si traduce questo in pratica? Se voglio ottenere figli e/o alunni che imparano in modo ottimale cosa devo fare, oltre eventualmente a conoscere io stesso i contenuti dell’apprendimento che voglio trasmettere?
Se immaginiamo che l’apprendimento sia un corpo, allora la sua mente sarebbe il contenuto del sapere (il “cosa”), mentre il cuore sarebbe l’esperienza, il processo che conduce ad acquisire quel sapere (il “come”). Ora ci concentriamo sull’esperienza, sul cuore della conoscenza e sugli elementi che compongono il viaggio che mi porta da A (non conosco) a B (conosco).
Partiamo dal percorso tradizionale scolastico che è composto da queste fasi:
- ascolto una spiegazione dell’elemento da conoscere;
- leggo e cerco di memorizzare la conoscenza;
- ripeto verbalmente la conoscenza che ho memorizzato.
Risultato: dopo un tempo più o meno lungo in cui né applico la conoscenza che ho appreso, né la continuo a ripetere, me la dimentico. Dov’è finito il cuore in questo percorso? Come possono gli alunni memorizzare in modo efficace i contenuti? Chi può insegnare loro come imparare?
Proponiamo qui un tipo di percorso, uno tra molti altri che possono essere esplorati da genitori e insegnanti, per accompagnare bene, figli e alunni, nel processo di apprendimento. Le tappe di questo viaggio sono raccontate, con tanto di testimonianze, nei due podcast che vi proponiamo nell’articolo di oggi (Frascati Scienza e Pleiadi). Proviamo a chiederci: cosa succederebbe se invece di impartire un sapere enciclopedico, insegnassimo a bambine, bambini e ragazze, ragazzi un metodo efficace per investigare la realtà e, quindi, per interpretarla seguendo le linee guida dettate dai loro interessi e dalle loro curiosità?
La metodologia, che ci suggeriscono le due organizzazioni nei rispettivi podcast, parte proprio dall’esperienza. Nel podcast Pleiadi il metodo prende il nome di IBSE, che deriva dalle parole inglesi Inquiry Based Science Education. Possiamo applicarla sia nella fase dell’insegnamento che nel momento dello studio o dei compiti a casa.
L’innovazione didattica, che scompiglia un po’ la consueta lezione in classe, è stata utilizzata soprattutto a partire dalle materie scientifiche, dove stiamo assistendo ad una grave diminuzione dell’interesse dei giovani verso queste discipline, ma può essere applicata ad ogni tipo di insegnamento (ad esempio, lo abbiamo visto anche con il metodo Tititom nella musica, nel relativo podcast Tititom).
Vediamola ora in pratica:
- il protagonista non è più il sapere in se stesso o il libro, ma è l’esperienza, il cuore del sapere diventa il bambino, la bambina o il ragazzo, la ragazza nel suo processo di apprendimento;
- poi gli studenti sono chiamati a confrontarsi con l’oggetto di studio sperimentandolo e/o osservandolo (fenomeno biologico, variabili climatiche, livelli d’inquinamento, strumenti di misura, ecc.);
- successivamente vengono invitati a porsi delle domande e a formulare ipotesi;
- le ipotesi, poi, devono essere verificate attraverso esperimenti;
- infine, se ne discutono insieme i risultati, per formulare la convenzione o regola, il sapere condiviso, insomma.
Per un esempio concreto, immaginiamo di dover studiare il ciclo dell’acqua, come ci propone Raffaella del podcast Frascati Scienza, nella sua pagina Instagram #raffafacose. Bastano due barattoli di vetro, del ghiaccio, dell’acqua bollente e una spruzzata di lacca, per formare una nuvola in un barattolo e poter così osservare dal vivo cosa succede all’acqua nelle sue diverse fasi: dallo stato liquido, al vapore acqueo, allo stato solido, ecc. Ecco, che osservando il processo, sperimentando in prima persona, è possibile formulare ipotesi e porsi delle domande, per poi discutere insieme i risultati. Ecco che attraverso l’esperienza concreta, è possibile imparare con piacere e motivazione, ricordando il contenuto.
Non servono aule laboratorio, materiali costosi e difficili da reperire per proporre l’esperienza: la buona notizia è che si possono utilizzare elementi della natura, materiali di riciclo, oggetti che abbiamo normalmente in casa.
Il risultato di questo tipo di apprendimento è duraturo perché nella memoria umana le esperienze legate al piacere e alla scoperta, perdurano. Come ci dice Matteo nel podcast di Frascati Scienza: “Quando qualcosa ci sorprende, ci rimane impresso!”. Quello che accade è l’”effetto wow!”, cioè quando davanti ad una conoscenza, la nostra razionalità lascia il posto a emozioni positive e reagisce di cuore e di pancia, allora la nostra mente, che tende a ricordare quei momenti positivi, che hanno creato stupore e meraviglia, ricorderà. In tal modo gli studenti possono appassionarsi allo studio, scegliere di imparare perché comprendono la finalità della conoscenza stessa.
Michela Calvelli
Ascolta i podcast:
FRASCATI SCIENZA _ Studiare con l'”effetto wow!”
PLEIADI _ Imparare e insegnare con un metodo che rispecchia la biologia