È il mondo dell’adulto che si adatta al bambino oppure è il mondo del bambino che si deve adattare a quello dell’adulto?
Per rispondere alla domanda, innanzitutto emergono altre domande, come ad esempio: ma il mondo dei bambini, delle bambine e quello degli adulti a volte sembrano, a volte sono, così distanti. Crescendo ci siamo forse persi qualcosa, oppure abbiamo guadagnato così tanti strati di cultura, società e personalità da esserci dimenticati la nostra vera e naturale essenza?
Inutile sottolineare che colpevolizzare la società, la cultura, l’insegnante, il genitore, il collega, il capo, ecc. del nostro attuale stato e condizione, produce l’effetto di restare cristallizzati nei nostri strati di pensiero, senza riconoscere la semplicità della vita in cui ognuno ha la sua parte nella grande scena e può prendersi la responsabilità e la cura di come rispondere e trasformare l’esperienza da nemica in amica, da colpevole a insegnante e maestra.
Il mondo del bambino dice: “Abbi cura di me, perché sono forte ma anche fragile”. Per prenderci davvero cura del bambino abbiamo bisogno di “fare un piccolo viaggio interiore”, come mi disse Osvaldo Poli in un podcast. Quante delle nostre ferite, chiusure, divisioni, stiamo proiettando nella relazione con nostro figlio, figlia? La cura viene dall’osservazione e per osservare ci vuole tempo e attenzione.
Quando, ad esempio, ci si prende cura di una pianta, osserviamo se ha bisogno di acqua, di luce, di calore, di essere concimata o travasata e così via. Per una pianta è abbastanza semplice e le conoscenze necessarie non sono tantissime, mentre per l’essere umano è molto più complesso e le informazioni non bastano mai. Il livello di profondità che si può raggiungere in una relazione umana è potenzialmente infinito. Nel momento in cui osserviamo il bambino, la bambina, scegliamo di metterci accanto a lui, a lei e di scoprire come guarda e vede il mondo. Questo esercizio, praticato quotidianamente, riporta l’adulto ad un’umanità e a uno sguardo che gli appartiene e allo stesso tempo, spesso, non sa più di esserne capace.
“Ciascuno è portatore di un grande potenziale che non riesce ad essere espresso e da bisogni che non riescono ad essere visti” ci dice Serena, mamma e insegnante, nel podcast Famiglie Solidali, ma se ci accorgiamo di questa piccola grande verità, possiamo fermarci, osservare, ascoltare e fare la differenza.
Il mondo del bambino dice: “Guarda insieme a me la grandezza contenuta nelle piccole cose”. Quando un bambino, una bambina raccoglie un fiore, un sasso, una conchiglia, raccoglie proprio quel fiore, quel sasso e quella conchiglia, perché dentro a quel piccolo oggetto, scorge intuitivamente il grande mondo che vi è racchiuso. Un adulto che a fine giornata svuota insieme a lui, a lei le tasche e va alla scoperta del grande mondo racchiuso in questi piccoli oggetti, è un adulto che insegna a cercare, a indagare e scoprire la bellezza racchiusa nelle piccole cose. Perché il sasso ha delle striature? Come è arrivato lì? E la conchiglia? Chi la abitava prima? Ora, in cosa si sta trasformando? E la foglia? Perché è caduta? Come mai è di questi colori? Così il mondo delle piccole cose si apre alla scoperta dell’interconnessione di ogni cosa con l’altra, alla molteplicità dei punti di vista con cui possiamo osservare un oggetto e il mondo intero.
I tre podcast di questa settimana: Famiglie Solidali, Gea Ets e Shape ci testimoniano che c’è tutta una pedagogia dell’educare all’aperto che sostiene che fuori accade qualcosa di straordinario che dentro le aule non avviene. Come mamma Patrizia dal podcast Gea Ets: “Ho visto mia figlia crescere molto, ha sviluppato un’autonomia nelle azioni, nei pensieri. Mi sono trovata molto spesso ad ascoltare le sue parole, i suoi pensieri, quando mi raccontava cosa voleva dire per lei amare, cos’era l’acqua, la terra, …”.
Il mondo del bambino dice: “Abbracciami quando sbaglio, perché altrimenti avrò paura di crescere”. Crescere bambini, bambine prima, e adulti poi, fiduciosi in se stessi, fiduciosi nell’esperienza, chiede educatori che sappiano lasciar correre anche qualche rischio. Le grandi altezze, arrampicarsi, azzuffarsi, sporcarsi, maneggiare utensili pericolosi, ecc., sono tutte esperienze che, secondo recenti studi sulla pedagogia del rischio, permettono ai bambini e alle bambine di crescere equilibrati. Certo è faticoso sostenere la nostra paura, il batticuore quando si arrampica in alto, ma è il nostro mondo che ha bisogno qui di incontrare quello del bambino, per insegnargli ciò che con le ramanzine e i rimproveri non imparerebbe mai: fiducia, autostima e autonomia.
Dall’ambiente siamo autonomi e dipendenti, il corpo è una libertà e un limite, un oggetto ci può proteggere o danneggiare: tutto questo i bambini e le bambine lo imparano dall’esperienza accanto ad adulti capaci di gestire il rischio. In effetti, come ci ricorda l’accompagnatrice nel bosco Valeria nel podcast Shape: “Non sono temi facili da affrontare per un adulto con il suo percorso culturale, quelli dell’educazione al e con il rischio, (…). Da questo lavoro – si riferisce a incontri di approfondimento tra famiglie ed educatori (N.d.A.) – sono emersi i nostri punti fermi: che il bambino è competente, per cui gli deve essere concesso un grande margine di azione libera; che l’adulto osserva e raccoglie informazioni sul processo di apprendimento per accogliere e sostenere la motivazione intrinseca; l’ambiente naturale come aula aperta dove i bisogni emotivi, ecologici, sociali possono trovare accoglienza; e infine la comunità educante, luogo per eccellenza della relazione tra bambini, adulti e territorio.”
Il mondo bambino dice: “Insegnami le regole che mi permettono di crescere, non quelle che ti permettono di stare comodo”. Questo è tanto vero quando il bambino, la bambina chiede di esplorare il proprio limite, quanto è necessario un adulto fermo laddove il rischio diventa pericolo o mancanza di rispetto verso sé, l’atro o l’ambiente. Spesso proprio nella scuola istituzionale, ci sono una marea di regole fatte per proteggere l’adulto da ipotetiche grane con la legge, con la società; quindi, regole create da adulti per altri adulti. Le regole della scuola, mondo dell’educazione e della conoscenza, possono incontrare il mondo dei bambini e delle bambine, fatto di esplorazione, stupore, scoperta, movimento? Sempre più spesso genitori attenti e non disposti al compromesso, come quelli che si raccontano nei rispettivi podcast sopra menzionati, creano della realtà educative dove i bambini e le bambine possano crescere immersi in un contesto adulto capace di regole create al loro servizio, anziché al servizio della comodità, dell’iperprotezione, della delega di ogni responsabilità.
Il mondo bambino dice: “Non giudicarmi, perché attraverso i tuoi occhi imparo ad amarmi o ad odiarmi”. La valutazione su un comportamento, una persona, una situazione, è necessaria per maturare una decisione: ha questo unico scopo e ha un carattere temporaneo. Il giudizio, al contrario, ha spesso lo scopo di sminuire o adulare, attribuiamo una certa misura e tendiamo a renderla stabile e permanente nel tempo. Il giudizio in educazione è estremamente pericoloso nella sua duplice veste: sia nel suo aspetto negativo, utilizzato come stimolo doloroso per ottenere un risultato, che come condizione di appagamento di essere giudicati bravi quando diventa l’unica motivazione ad agire. Il giudizio è un’arma controproducente, che crea ferita e sfiducia, oppure dipendenza e incapacità di trovare la propria motivazione reale verso il proprio impegno. Il bisogno di giudicare riflette la paura di essere giudicati e di sentirsi sminuiti identificandosi con quella misura ridotta che viene attribuita da quel verdetto. Dall’altra parte del giudizio, quando riconosciamo che in tantissimi casi non è necessario, è possibile trovare il riconoscimento del valore infino nell’altro e la curiosità di conoscerlo meglio e comprenderlo più a fondo.
Perché come scrive Gea Ets nella sua pagina Facebook, la posta in gioco è alta: “Genitore, educatore, maestro…ricordati che se critichi o tratti male un bambino, lui non smetterà di amare te, ma smetterà di amare se stesso”.
Michela Calvelli
Ascolta i podcast:
FAMIGLIE SOLIDALI_ Quando educare insieme fa la differenza
GEA _ Una scuola nata dalle grandi domande esistenziali
SHAPE_Come la natura offre apprendimenti significativi