Il bambino
è fatto di cento.
Il bambino ha
cento lingue
cento mani
cento pensieri
cento modi di pensare
di giocare e di parlare
cento sempre cento
modi di ascoltare
di stupire di amare
cento allegrie
per cantare e capire
cento mondi
da scoprire
cento mondi
da inventare
cento mondi
da sognare.
Il bambino ha
cento lingue
(e poi cento cento cento)
ma gliene rubano novantanove.
La scuola e la cultura
gli separano la testa dal corpo.
Gli dicono:
di pensare senza mani
di fare senza testa
di ascoltare e di non parlare
di capire senza allegrie
di amare e di stupirsi
solo a Pasqua e a Natale.
Gli dicono:
di scoprire il mondo che già c’è
e di cento
gliene rubano novantanove.
Gli dicono:
che il gioco e il lavoro
la realtà e la fantasia
la scienza e l’immaginazione
il cielo e la terra
la ragione e il sogno
sono cose
che non stanno insieme.
Gli dicono insomma
che il cento non c’è.
Il bambino dice:
invece il cento c’è.
(Loris Malaguzzi)
Abbiamo aperto questo articolo con la trascrizione della poesia “Invece il 100 c’è”, scritta da Loris Malaguzzi. Poesia e autore sono infatti l’una il manifesto, l’altro l’ideatore del Reggio Emilia Approach, anche noto come metodo Reggio Children. Di cosa si tratta?
Se di 100 è fatto il bambino, di 80 si compone la rete di nidi e scuole dell’infanzia, che oggi, anno 2022, implementa il Reggio Emilia Approach. Inoltre, va sottolineato il fatto che ci sono molti insegnanti che si formano con questo approccio per poi integrarlo all’interno della propria scuola dell’infanzia, pur non essendo formalmente segnalati dalla rete.
Questa esperienza locale del territorio reggiano con il tempo è diventata globale, dato che si sta lavorando per la sua diffusione nei 5 continenti. Una storia che nasce a Reggio Emilia negli anni ’70 grazie al pedagogista Loris Malaguzzi e ad un contesto sociale attento all’educazione delle nuove generazioni. Il Reggio Emilia Approach è una filosofia educativa che immagina il bambino e la bambina come soggetto di diritti e dotato di enormi potenzialità, un essere che apprende attraverso i cento linguaggi e che cresce nella relazione con gli altri.
Dunque, “I cento linguaggi dei bambini” sono una metafora con cui Loris Malaguzzi ci sta dicendo, in buona sostanza, che la conoscenza viene costruita in modi diversi, con linguaggi differenti. Così come sono diversi e unici ogni bambino e ogni bambina, così lo sono i linguaggi con cui si esprime e scopre il mondo. Questo avviene anche nei primi anni di vita, anzi, soprattutto nei primi anni di vita. Compito del nido e della scuola dell’infanzia è di valorizzare tutti i linguaggi verbali e non verbali con pari dignità. Come si traduce questa considerazione teorica nel Reggio Children Approach? Tre sono le componenti della didattica che, tra le altre, ci sembrano rilevanti.
La prima è quella di una didattica che si definisce cooperativa, collaborativa e laboratoriale. La collaborazione e l’interazione tra gli studenti si fa preferire alla lezione frontale. L’apprendimento non è trasmesso unidirezionalmente, quanto piuttosto costruito insieme, in piccoli gruppi. Il risultato è che i bambini e le bambine si sentono responsabilizzati e congiuntamente sviluppano competenze sociali, imparano cioè a relazionarsi a loro modo con gli altri. Come anticipato, oltre ad essere cooperativo, l’apprendimento è anche laboratoriale o meglio ancora, esperienziale. Ne sono un esempio gli Atelier, dei veri e propri laboratori dove sperimentare i 100 linguaggi. Ne raccontiamo due: l’Atelier Punti di Vista e l’Atelier Segreti della Carta.
Nel primo caso si tratta di un Atelier fotografico proposto a bambini, bambine e ragazzi, ragazze dai 6 anni in su, all’interno del quale si sperimenta il linguaggio fotografico tramite macchine fotografiche o smartphone ed oggetti vari con i quali i partecipanti interagiscono. Lo scopo, tra gli altri, è di sperimentare cogliendo nuovi punti di vista per guardare la realtà.
L’atelier Segreti della Carta, invece, si propone di scoprire in un certo senso la carta, un materiale comune, ma che ha la capacità di fare memoria, di far interrogare. E così la carta incontra l’acqua, la creta, la luce, oppure microscopi, microfoni… al fine di innescare processi emotivi ed espressivi. Come questi, ve ne sono molti altri, che vi invitiamo a scoprire direttamente sul loro sito. Si tratta, in ultima analisi, di una didattica attiva, piena di esperienze concrete e compiti di realtà.
La seconda componente della didattica che vogliamo sottolineare è l’ambiente che, in questo approccio, è educatore. L’ambiente in cui i bambini e le bambine sono immersi contribuisce positivamente o negativamente alla loro crescita. Dal sito internet del Reggio Emilia Approach: “l’ambiente interagisce, si modifica e prende forma in relazione ai progetti e alle esperienze di apprendimento”. Abbiamo dunque degli spazi flessibili: apprendimenti diversi richiedono ambienti diversi. Ambienti che devono essere studiati per permettere ai bambini e alle bambine di dialogare con loro, di scoprire nuove cose da loro, di trasformarli.
Il terzo aspetto della didattica, che a nostro avviso risulta importante, riguarda il ruolo giocato dai genitori. L’apprendimento non avviene solo a scuola ma, nel Reggio Emilia Approach, deve riguardare anche la sfera familiare. Si mira allo sviluppo di una comunità educante. Il compito dell’educatore, dell’insegnante, dei genitori diventa così valorizzare e lasciare emergere la bellezza e l’immaginazione degli infiniti linguaggi dei bambini, delle bambine e dei ragazzi, delle ragazze.
Comunità educante siete anche voi che state leggendo questo articolo. Se siete interessanti a questo approccio vi consigliamo di consultare il sito internet del Reggio Emilia Approach oppure di ascoltare direttamente alcune associazioni che hanno sposato questa filosofia educativa offrendo percorsi specifici a scuole e famiglie:
Michela Calvelli