Ho sognato una scuola che restituisse al bambino il potere della scoperta, lasciando emergere l’atto creativo della conoscenza.

Ho sognato una scuola animata dall’intento comune di indagare insieme la realtà, esplorando chi siamo e da dove veniamo.

Ho sognato una scuola dove la possibilità di esprimersi e di comunicare chiaramente, dove ognuno si mostra per ciò che è, prevalga sull’imposizione di un ideale di ciò che dovrebbe essere.

Ho sognato una scuola in cui è possibile esprime il proprio valore, senza il timore di essere rimpiccioliti.

Ho sognato una scuola che sappia mantenere sempre vivo e aperto il dialogo e il senso del processo educativo tra la comunità educante.

Ho sognato una scuola che ricolleghi lo studio delle discipline alla vita concreta di tutti giorni, in cui è possibile vivere le difficoltà, gli errori, il conflitto come opportunità.

Ho sognato una scuola improntata sulla domanda e sull’ascolto, più che sulle risposte e sul rifiuto di ciò che non si conforma.

Ho sognato una scuola fondata sulla cura di sé, dell’altro, del pianeta, in cui si collabora, anziché competere, per un mondo migliore.

I sogni spesso orientato il procedere nella vita, non necessariamente come mete da raggiungere, ma come direzioni verso cui tendere, lasciando aperte le mete finali alle possibilità che si aprono nell’incontro con il reale.

 

Come madre, mi sono sentita responsabile di agire secondo ciò che sentivo vero. Ho deciso, ad esempio, di impegnarmi per prima nel realizzare il tipo di educazione che sognavo, mi sono messa in moto per cercare l’esistenza di una scuola che rispondesse a ciò che sognavo. Ho infine progettato di realizzare una realtà educativa nel contesto in cui vivo e ho partecipato ad alcuni corsi di formazione per implementare le mie conoscenze nel mio nuovo ruolo di madre.

 

Ad un certo punto, ho anche trovato la scuola che corrispondeva esattamente a ciò che più speravo per mia figlia Francesca; mi sono fermata. Forse ho sognato troppo e alla fine l’ho trovata dall’altra parte d’Europa, però esisteva! E si poneva domande del tipo:

Che cosa facciamo riguardo alla loro (di bambini/e e ragazzi/e) capacità di pensare profondamente ai problemi della vita, di trovare soluzioni creative alle sfide personali, sociali e ambientali? Possiamo lasciare al caso l’apprendimento di qualità simili? Possono i genitori stare tranquilli sapendo che questi aspetti tanto importanti dell’educazione sono svolti in scuole che sono alle prese con programmi già sovraccarichi? Possono le scuole confidare nella famiglia, bersagliata com’è dall’affarismo rampante, dall’industria dei divertimenti e in molti casi completamente sfasciata da genitori troppo occupati e assenti?”

Riconoscere che il disordine nel mondo è il disordine in se stessi dà una tremenda importanza all’esplorazione di sé, come parte dell’educazione”.[1]

 

Poi c’è Silvia, mamma di Enrico, che sognava una realtà in cui conservare i ritmi della lentezza ritrovati durante il lockdown, ma che fosse al tempo stesso anche capace di offrire delle sane occasioni sociali. Lei si è fermata invece a Carvico, in provincia di Bergamo, a ‘La casa della Lumaca’ e, nel relativo podcast, dice:

Per la prima volta in quattro anni e mezzo, non dovevamo più mediare, elaborare i suoi vissuti, perché siete diventati i suoi riferimenti. È stato dunque il contesto educativo che si è fatto casa. Partiamo spesso dal presupposto che sia il bambino che si debba adattare, o peggio, che si debba sforzare. E noi adulti a dirci che è normale che pianga, che col tempo passerà. La nostra esperienza ci ha dimostrato che è la comunità educante che deve costruire spazi e occasioni per stare bene oggi. Enrico ha colto immediatamente che quello era l’ambiente che voleva abitare insieme ad altri bambini. Dai primi giorni ha incominciato a dirci che avrebbe voluto partecipare al centro estivo tutta la vita”.

 

C’è anche Irene, mamma di Isabella che, tornata a Palermo da un periodo lungo trascorso in Germania e poi in Romania, sognava una scuola inclusiva e multiculturale. Lei, oltre al ruolo di mamma, ricopre anche quello di insegnante e sa che “la scuola può diventare un luogo di omologazione del pensiero”. Anche lei ha cercato e ha trovato Le Giuggiole, in cui poter condividere un sistema valoriale “che contempli la cultura dell’inclusione, che si fondi su un sentimento di accoglienza e di cooperazione tra i popoli, che formi cittadini attivi che partecipano al cambiamento”, come racconta nel podcast di Le Giuggiole.

 

Questa è la scuola che abbiamo sognato: Irene, Silvia ed io. Tu, che scuola sogni?

Come hai agito o quali azioni potresti realizzare per tendere verso l’educazione che sogni per tuo figlio o tua figlia, per i tuoi alunni e alunne?

 

Noi edunauti ti invitiamo a raccontarcelo nei commenti a fondo pagina. Così che i sogni di ciascuno possano essere come arcobaleni in un barattolo, posti sulla credenza del soggiorno interiore, capaci di farci colorare il mondo con la nostra unicità e di guidarci ad abitare luoghi ancora inesplorati.

 

Michela Calvelli

 

[1] Bill Taylor, Educazione all’arte del vivere; Brockwood Park School e l’eredità di Krishnamurti, https://www.krishnamurti.it/, 24/03/2022

 

 

Ascolta i podcast: 

LUMACA RIBELLE_La scuola lenta e nonviolenta in barattoli di esperienza

LE GIUGGIOLE_Educare menti capaci di ridisegnare il mondo

 

FB Lumaca Ribelle

www.legiuggiole.business.site

 

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