Giovani e partecipazione, come essere protagonisti della vita con Alice Bigli e Bianca Agostini
00:00 STEFANO.
Come si forma un gruppo di giovani all’autonomia? Avete mai pensato a quanto possa essere trasformativa per loro un’esperienza di partecipazione?
Sono Stefano Laffi e questo è Orizzonti Educativi, il podcast che dialoga con chi l’educazione la vive, per estrarre apprendimenti dall’esperienza.
Oggi esploriamo il pensiero educativo e alcuni strumenti pratici suggeriti da Bianca Agostini e Alice Bigli. Bianca Agostini vive a Rimini ed è giovanissima, ha 17 anni, studia al liceo scientifico, ma soprattutto è da tre anni una delle volontarie di “Mare di libri”, che è il Festival di letteratura per ragazzi e si tiene a Rimini ogni anno. Un festival unico, nel suo genere, perché è interamente gestito dai ragazzi e dalle ragazze, che sono della scuola media e superiore. Alice Bigli, invece, è colei che l’ha ideato 14 anni fa, da libraia qual era fino all’anno scorso. Ma oggi parliamo di protagonismo dei ragazzi e delle ragazze. Allora per far capire cosa vuol dire rendere protagonisti i ragazzi e le ragazze, Alice, che sei dalla nascita, dall’origine dentro il festival: perché hai pensato la formula di un festival fatto direttamente da ragazzi e da ragazze?
01:25 ALICE
Io ho sentito proprio di procedere per piccole intuizioni, perché non avevo nessuna esperienza di qualcosa di simile, quando ho cominciato. Avevo osservato, per esempio, che i gruppi di lettura tra adolescenti e preadolescenti funzionavano molto bene. Avevo osservato che i preadolescenti e gli adolescenti, rispetto ai dati Istat sulla lettura, sappiamo tutti che l’Italia è un paese di non lettori, però leggevano un po’ più della media rispetto a altre fasce di età, e che invece rispetto agli eventi era la fascia d’età per cui l’offerta culturale era più debole. Mi sono detta forse bisogna tentare con una formula nuova, perché è chiaro che chi, per esempio, lamenta la difficoltà a realizzare eventi per questa fascia d’età, dice che poi i ragazzi non partecipano, non vengono, avrà delle ragioni, magari anche più esperienza in termini di tempo di me. E quindi l’intuizione è stata proviamo a coinvolgere i ragazzi, dal momento in cui lo si pensa questo evento. Quindi sono partita da quello che era allora il gruppo di lettura degli adolescenti che conducevo e ho cercato di mettere le prime basi, le prime idee di quello che poi è cresciuto nel tempo come “Mare di libri”, con loro. A quel punto è diventato tanto interessante, quanto il realizzare l’evento per altri ragazzi, proprio il lavoro di permettere ai ragazzi di essere protagonisti attivi di un evento culturale. E quindi questa cosa è cresciuta insieme all’evento, insieme a me, che ho imparato con loro. Ha preso sempre più peso ed è diventata sempre più caratterizzante di “Mare di Libri”.
02:50 STEFANO
Tu Bianca, invece, tu che da 3 anni sei appunto volontaria: perché hai deciso, cosa è successo perché scattasse quel click e dicessi 3 anni fa: “Si io ci sto, sono con voi”?
03:00 BIANCA
Praticamente ho avuto bisogno di una piccola spinta, una spintarella da parte della mia prof. di italiano delle medie, che ci ha portato a vedere un evento del festival e allora ho detto: “Vabbè, mi iscrivo, poi dopo tanto cos’è che ho da perdere?”. Alla fine non ne sono più uscita. E io continuo a fare la volontaria perché comunque è un ambiente molto stimolante e la cosa che mi ha colpito di più fin da subito è proprio l’atmosfera e anche gli altri ragazzi, gli altri volontari con cui mi sono veramente trovata molto bene; delle persone interessanti con cui poter discutere, con cui scambiarsi opinioni, che magari in un ambiente scolastico, in un ambiente normale dell’adolescente medio non avevo mai trovato, invece lì ce n’erano centinaia. Per questo motivo ho deciso di non uscirne, di continuare, perché comunque essendo poi una attività di volontariato, come si dice spesso, ti torna qualcosa, anche se piccolo. E a me è tornata una crescita personale, un confronto e uno sviluppo di ciò che io ho sempre avuto dentro, ma che magari non sono mai riuscita ad esprimere e non sono mai riuscita a confrontarmi con nessuno su determinate cose. Quindi è per questo che io sono rimasta e continuerò finché potrò.
04:21 STEFANO
Spesso, magari, quando si pensa a degli eventi ci si dimentica di quanto è importante la cura del gruppo nel far sì che quell’atmosfera regali il piacere di stare al gioco. Ecco Alice, ci spieghi come funziona la formazione dei volontari, perché poi diventino, molto autonomi, capaci di gestirsi così tante cose?
04:38 ALICE
Stefano intanto ti ringrazio di questa domanda perché la formazione per me è un elemento importantissimo, perché “Mare di libri” è un evento realizzato dai ragazzi per i ragazzi, ma che ha valore, dal mio punto di vista, perché è un evento realizzato bene dai ragazzi. Chiaro sono ragazzi e sono volontari, ma l’evento deve essere realizzato in modo più professionale possibile. Non amo molto quello spontaneismo per cui si dice: “Ah l’hanno fatto i ragazzi, che bello a priori”. Per dare questa direzione, per puntare a questo tipo di obiettivo, la formazione diventa importantissima. Ci sono due cose importanti che formano i ragazzi: una è una formazione esplicita, e l’altra è una formazione che rimane un po’ più nascosta. Questa formazione indiretta si fa sin dalle riunioni di direzione artistica, perché chiaramente vengono passati tanti contenuti utili a capire come si costruisce un festival, anche se magari stiamo lì a parlare di libri. Poi ci sono dei momenti proprio di formazione strutturata. Il più importante è sicuramente quello che si fa proprio a ridosso del festival. Noi facciamo quello che chiamiamo ritiro volontari, 2-3 settimane prima del festival, stiamo insieme tutto un sabato, tutta una domenica, di solito in una grande casa scout. In quella occasione facciamo una formazione che riguarda vari aspetti. Tutti devono capire bene che loro sono un pezzettino di ingranaggio: quale, posizionato dove, in che relazione con gli altri. Devono imparare delle competenze generali di quelle che possiamo definire “life skills”: quindi gestione del conflitto, il lavoro in squadra, gestione del lavoro sotto stress. Poi vengono anche divisi in squadre, in quel momento, si fanno una serie di attività formative che servono anche a noi per fare molto osservazione di dinamiche di gruppo, di come loro stanno insieme, di quali sono le qualità diverse che ognuno ha. A quel punto ricevono anche tutte le informazioni specifiche e lavorano con la squadra definitiva. Quindi fanno anche un rodaggio della piccola squadra, del rapporto con il capitano. Quindi questo è un po’, il percorso formativo.
06:54 STEFANO
Alice hai parlato di “life skills”. Ci aiuti a capire meglio come fate a formare nei vostri ritiri, nei vostri incontri formativi pre-festival le “life skills”, che oggi si dice siano fondamentali per la crescita dei ragazzi, accanto ovviamente a tutte le altre competenze, alle conoscenze che derivano dal percorso scolastico?
07:13 ALICE
La cosa più importante da dire secondo me rispetto alle “life skills” e alla nostra esperienza di “Mare di libri” è che per imparare le “life skills” occorre partecipare a un progetto complesso; quindi già questa è la più grande occasione. Fino a che, diciamo, i ragazzi partecipano ad attività di routine che non richiedono organizzazioni complesse, per carità si può lavorare sulle “life skills”, ma non siamo all’interno di un compito di realtà, cioè diventa un’esercitazione che uno può fare in classe. Noi partiamo dalla complessità reale del festival. Le “life skills”, che cosa significa no, imparare ad esempio a prendere decisioni, prendere decisioni nei vari contesti, risolvere i problemi che possono capitare, comunicare con gli altri, come comunichiamo, essere consapevoli delle proprie competenze, dei propri limiti, saper gestire le relazioni, sapere gestire le emozioni, lo stress. Ci lavoriamo a partire dalla realtà del festival, nel senso noi abbiamo come libro di testo delle situazioni reali, perché come vi ho detto il festival è una macchina molto complessa, immaginate 40 eventi, 100 volontari, ce ne sono che vanno dagli 11 ai 18 anni, lavoro di squadre, competenze diverse. E, quindi, credo che il grosso valore per noi sia quello di poter lavorare in formazione facendo giochi, simulazioni, ma a partire da situazioni reali che verranno vissute e riuscire a fare visualizzare ai ragazzi la complessità del meccanismo in cui lavorano.
08:47 STEFANO
Grazie mille. Quindi è chiaro che stiamo dicendo come in qualunque gruppo di lavoro, bisogna formare delle competenze iniziali per mettere le persone in grado di farlo, farlo bene insiste Alice. Bianca, tu hai 17 anni, quindi dal lato dei ragazzi e delle ragazze, immaginiamo che tu debba formare una squadra, per fare qualcosa di simile a quello che vi capita di fare a “Mare di libri”: come faresti a contattare ragazzi, a convincerli, a costruire una squadra sapendo come ragiona, che cosa motiva, che cosa spinge, che cosa ingaggia un ragazzo e una ragazza della tua età?
09:19 BIANCA
Sicuramente gli adolescenti sono una specie strana e particolare, poi generalizzando ovviamente, se gli viene detto di fare qualcosa dall’alto sono veramente riluttanti al farlo. Partirei sicuramente da, magari un gruppo ristretto di amici, o persone che comunque conosco, che sono interessate a quello che sto facendo. E poi da questo gruppettino, convincere altre persone diramandosi sempre di più, con le proprie ragioni. Quindi, cosa ti spinge a fare quella cosa? Bisogna scavare anche nei loro obiettivi, in ciò che loro vogliono fare e avvicinarlo a ciò che tu vuoi fare e insieme facciamo qualcosa. Quindi per prendere gli adolescenti, secondo me, bisogna anche fare leva, come hai detto anche tu, quando ripeti spesso la parola protagonismo, di farsi protagonisti. Quindi bisogna avere comunque un obiettivo comune e bisogna convincere gli altri che di avere un buon obiettivo.
10:09 STEFANO
Squadra corta, alta fiducia, condivisione di obiettivi, nessuna imposizione, ma lettura dei rispettivi desideri. Alice tu hai 14 edizioni alle spalle, centinaia di volontari e volontarie, quindi, tu stessa dici nel tempo ho affinato gli strumenti. Immaginiamo qualcuno che debba essere come dire nella tua situazione. Ci regali qualche consiglio per ridurre, gli errori. Penso a come scegliere i ragazzi, come comporre i gruppi, come affidare i compiti e così via…
10:38 ALICE
Allora ci proviamo. È chiaro, come vi ho detto, che una parte della riduzione degli errori è passata dal farli degli errori. Per cui credo che un po’ inevitabilmente occorra, anche come adulti, prendersi il rischio di sbagliare qualcosa e di imparare dall’esperienza, perché penso sia molto difficile realizzare qualcosa subito, senza errori, quando si devono coinvolgere tanti, tanti ragazzi. Sicuramente io ho imparato a stare più attenta alle caratteristiche dei volontari e a come comporre i piccoli gruppi tra di loro. Noi partiamo da ragazzi che arrivano già motivati, che nessuno ha obbligato ad essere lì. Quindi è chiaro che partiamo da risorse umane straordinarie, è una partenza in discesa in qualche modo; però hanno le loro caratteristiche, quelle di tutti gli esseri umani, in più, a volte, enfatizzate dall’adolescenza: le antipatie, le simpatie…Da noi arrivano tantissimi leader naturali. È abbastanza normale, in un contesto come questo. Sono ragazzi molto motivati, molto entusiasti, pieni di energia. Spesso questo corrisponde a essere anche dei leader, un po’ nel gruppo dei pari. Per esempio, però, è molto importante magari da adulti– poi non tutti gli adulti lo imparano – dovremmo aver imparato anche a gestire la nostra leadership, quando incontriamo appunto un altro leader. A volte tra i ragazzi questo non è facile. Se un ragazzo, una ragazza sono dei leader naturali, metterli a lavorare nello stesso gruppo con un’altra persona con le stesse caratteristiche, può portare a dei conflitti. Quindi è sicuramente un’attenzione che abbiamo imparato ad avere, bilanciare molto le squadre. Sicuramente abbiamo acquisito una sorta anche di competenza di gruppo, che è cresciuta nel tempo. Cioè la maggior parte dei volontari stanno con noi più anni. C’è un ricambio naturale perché poi crescono, però per un po’ di anni molti stanno con noi. C’è una sorta di competenza diffusa su come si fa il festival, di know-how che passa in maniera un po’ più impalpabile, cioè man mano che i ragazzi diventano più bravi passano competenze più rapidamente anche ai nuovi. Più abbiamo ragazzi competenti, più tutto tende a livellarsi verso l’alto.
13:03 STEFANO
È il meccanismo di mentorship, questa cosa che fa crescere quasi una cultura del festival all’interno dell’universo dei ragazzi, delle ragazze. Ecco, proviamo un po’ a sconfinare Bianca. Ci dici un progetto o un sogno di protagonismo che è nato a cascata da questa esperienza, ma è andato al di là del festival “Mare di libri”? Un tuo sogno…
13:20 BIANCA
Partendo dal fatto che “Mare di libri” mi ha insegnato a vedere, il mio percorso di crescita in un modo diverso, in modo più approfondito e più ampio, per vedere fuori dalla mia bollicina, fuori dalla mia città. Tramite un incontro organizzato proprio da “Mare di Libri” ho conosciuto un’associazione che permette di fare dei viaggi all’estero e ho deciso di fare un mese in Finlandia, in una famiglia, da sola e penso che se non avessi conosciuto “Mare di libri” non l’avrei mai fatto. E’ un’esperienza che, anche se un mese, e mi sono pentita di aver fatto solo un mese e non stare proprio tutto l’anno fuori – che ti cambia veramente la vita, anche perché proprio vedi delle nuove culture, nuove persone, un nuovo modo di pensare e penso che sia anche questo l’obiettivo più grande di “Mare di libri”: non è solo farti conoscere un nuovo libro, ma proprio coinvolgerti in un ambiente culturale, in una ventata di aria fresca, che magari non avresti pensato da sola, perché comunque sei un ragazzo, non è che hai tutta questa esperienza e magari anche i tuoi genitori, in questo caso sono stata fortunata, però magari i tuoi genitori non hanno questa ampiezza culturale, questa visione ampia. E un’altra cosa che mi è sempre venuta in mente, che penso che “Mare di libri” mi ha fatto approfondire ancora di più è il mio volere essere un insegnante o, comunque, qualcuno che insegna qualcosa, non per forza l’insegnante – inteso come professore – perché mi piacerebbe cambiare le cose che non ci stanno bene nella propria area di competenza alzarsi e dire: “Questa cosa non va bene, rifacciamola da capo”: e penso che sia la base di insegnamento che ogni individuo dovrebbe avere.
14:58 STEFANO
Alice so che tu sei in contatto anche con altri festival e ogni tanto ti chiedono dei tuoi giovani volontari. In realtà in Italia tutti i festival culturali si reggono sui giovani volontari, diciamolo tranquillamente, ma non tutti li valorizzano. Ecco, che cosa consiglieresti dalla tua esperienza per valorizzare i giovani volontari e le giovani volontarie?
15:18 ALICE
Allora questo è un tema sicuramente delicato, delicato perché parliamo di tante esperienze molto variegate. Ci sono fuori dalla esperienza di “Mare di libri” esperienze storiche, a cui non abbiamo nulla da insegnare; tante magari micro realtà nate in modo un po’ più approssimativo. Sicuramente a chi magari è all’inizio e quindi è più disponibile al cambiamento direi, innanzitutto, di avere coraggio, perché credo che uno dei grandi elementi di resistenza a lasciare più responsabilità ai ragazzi sia proprio la mancanza di coraggio degli adulti, la paura degli adulti di dire appunto: “Eh poi però se questo lo lascio fare a questo ragazzo, chissà come lo fa, chissà se poi mi trovo i conti che non tornano, l’autore non gestito bene, ecc., ecc.”. Se, secondo me, si pensa di provare a dare delle responsabilità in più ai ragazzi senza voler rischiare niente aumentando di 0% la percentuale di rischio, non si va da nessuna parte. Impossibile, sarà sempre una responsabilità falsa, bisogna assumersi il rischio, per assumersi il rischio penso al valore che diamo alle cose, la scala dei valori. Dare una responsabilità vera significa offrire un’occasione di apprendimento straordinaria, per cui davvero l’esperienza culturale anche fuori dalla scuola, fuori da un obbligo può diventare un percorso di crescita, che lascia il segno. Se le responsabilità non ce le ho, se va bene, mi diverto perché incontrerò gli altri miei coetanei. Occorre chiarire la propria scala di valori. Il consiglio che darei è perlomeno l’onestà, questo non solo a chi organizza i festival, ma anche a chi a volte penso manda i ragazzi a fare il volontario. L’onestà di dire se è un contesto in cui davvero potranno sperimentare, davvero potranno portare qualcosa, idee, contributi, oppure se sono degli esecutori, un po’ dei tappabuchi. Perché credo che i ragazzi abbiano diritto a questa onestà da parte degli adulti educatori e debbano fare le loro scelte di conseguenza.
17:32 STEFANO
Un’ultima domanda: immaginiamo questa situazione: io sono un insegnante delle scuole superiori oppure l’educatore di un centro giovani, il coordinatore. Ho un progetto da fare che potrei fare sperimentando la formula del protagonismo dei ragazzi e ragazze, che è solo uno dei modi di fare le cose. Vi chiedo a flash, cioè proprio in una battuta, dai rispettivi punti di vista. Prima lo chiederò a Bianca e poi lo chiederò ad Alice, due cose: primo “Cosa ci guadagno io a lasciarlo gestire a loro?”, E come faccio, nel caso, a ingaggiarli domattina, quando li incontro, entro in classe o entro al centro e cosa dico per ingaggiarli davvero. Prima Bianca.
18:07 BIANCA
Coinvolgerli sarebbe sicuramente un vantaggio, perché sono personalmente coinvolti, appunto, nel progetto e che quindi metteranno sicuramente un’ulteriore voglia di fare le cose, un’ulteriore spinta. Per coinvolgerli, come si potrebbe fare? Secondo me, trovare un problema che tutti i ragazzi hanno, che tutti i ragazzi stanno affrontando e cercare di coinvolgerli per trovare una soluzione, quindi qualcosa che li riguardi, qualcosa che non sia così lontano da loro.
18:34 STEFANO
Alice, cosa ci guadagno a lasciarlo gestire a loro? E come faccio domattina quando li incontro a ingaggiarli?
18:40 ALICE
Se io stessi parlando con questo educatore, gli direi non solo ci guadagni, ma devi! Devi perché se tu vuoi che partecipino dei ragazzi a un evento culturale, è più facile se quell’evento sarà fatto da ragazzi. Quindi ci guadagni l’efficacia, ma devi anche, perché, se sei un educatore, devi offrire l’opportunità di crescita maggiore. E questa è un’opportunità di crescita infinitamente maggiore che se facessi tu. Da cosa partire subito? Da un cerchio, ci si siede in cerchio, si cerca innanzitutto di valutare le risorse umane che si hanno, che cosa sanno fare questi ragazzi e di investire subito sulla formazione per imparare quello che ancora non sanno fare.
19:20 SPEAKER.
Edunauta, se domani volessi ingaggiare i giovani in attività di partecipazione attiva: quali sono i passi da compiere suggeriti da Bianca e Alice?
19:32 STEFANO
Primo passo: provare a coinvolgerli dalla fase ideativa
Secondo passo: la cura del gruppo
Terzo passo: la formazione sul campo partecipando a compiti di realtà
Quarto passo: chiamare in causa la loro motivazione
Quinto passo: avere il coraggio di assumersi il rischio di assegnare delle responsabilità
Grazie mille Bianca! Grazie mille Alice! Siete state molto generose e ci vediamo l’anno prossimo al festival, allora.
20:08 ALICE E BIANCA
Grazie a te Stefano! Grazie mille!
20:13 STEFANO
Potete continuare ad esplorare insieme a noi gli orizzonti della relazione educativa con i prossimi episodi su www.edunauta.it.
20:24 SPEAKER.
Un progetto di Generas Foundation, scritto da Stefano Laffi e Michela Calvelli. Post- produzione e audio di Erazero.