Quante volte abbiamo sentito la frase: “Non gli ho mai fatto mancare niente”, come se in questo “niente che manca” fosse racchiuso il tutto di cui i bambini e le bambine hanno bisogno per crescere. Ma di quale tutto o niente hanno bisogno i bambini e le bambine per crescere integri e interi?
L’unico niente che mi viene in mente, da non far mancare mai a un bambino, a una bambina o a un ragazzo, a una ragazza siamo proprio noi, noi genitori, noi educatori. Noi siamo quell’unico tutto di cui hanno davvero bisogno, il resto sono solo ornamenti.
Quando nasce un figlio o una figlia, quando si sceglie di educare, di insegnare, si inizia un viaggio verso il centro di sé. Da madre, da padre, da insegnante, posso cercare di agire da un punto neutro, unificato in se stesso, in pace. Posso lasciare fuori dal gioco i miei irrisolti, la mia rabbia, il mio giudizio, ecc., scegliendo di risolverli altrove, in altro luogo e momento. Questa è la base, per me è il primo atto di amore.
Il secondo atto di amore è che si educa solo attraverso la relazione. Attraverso i sì pieni e i no pieni.
Per fare ciò abbiamo bisogno di due abilità mischiate insieme: l’amorevolezza e la fermezza, come un piccolo chimico abbiamo bisogno di provare e riprovare a mischiare queste due sostanze per produrre una relazione di stima e di fiducia, in cui il bambino o la bambina possa sentirsi sicuro/a e capace.
Quando uno dei due contenuti manca oppure è in eccesso, avvengono pasticci, la fialetta ci esplode in mano. Quando manca l’amorevolezza, si usano la minaccia e lo stimolo doloroso e il bambino, la bambina apparentemente impara, ma lo fa per evitare una minaccia, non per l’amore e la gioia di imparare; in realtà impara poi a mentire, a subire o a ribellarsi all’autorità. È un no che ferisce, che spezza la relazione di stima e di fiducia e il primo a cui rivolgerà questa mancanza di considerazione è proprio se stesso. Quando manca la fermezza e si è troppo permissivi, il bambino, la bambina apprende poco, fino a diventare una specie di tiranno nei confronti dei genitori. Sono i “no” non detti, quelli esitati, quelli che poi diventano “si” di fronte al pianto disperato, alle sue urla. Con troppi sì, detti contro il suo stesso autentico bene, si finisce col fargli mancare tutto, anziché col non fargli mancare niente, perché pedagogicamente è noto che un adulto che cede il timone al bambino, gli riversa una responsabilità troppo grande da gestire. Il bambino ha bisogno sì di fare da solo, ma anche di essere accompagnato nella sua emancipazione. “Ben consapevoli che accompagnare significa saper camminare a fianco di qualcuno, provando a sintonizzare un po’ il passo, limitando il più possibile strappi e accelerazioni”, come ci suggerisce Stefano nel podcast Eduway.
È possibile educare così? Si può abbandonare definitivamente l’oscillazione tra rigidità e permissivismo, maturando un equilibrio tra un’educazione ferma e amorevole nello stesso momento? A volte è necessario essere accompagnati almeno per un pezzo da qualcuno già capace, come ci invitano a fare nei podcast Eduway ed Efys. Per me è stato decisivo scegliere di essere accompagnata e quello che scrivo oggi è frutto di questo percorso in cui sono stata affiancata da chi era più esperto di me.
Emerge così un’educazione capace di guidare l’altro in una crescita integra, che si fonda sul riconoscere l’individuo e apprezzare la sua capacità di essere consapevole di sé, degli altri, sostenendo la sua libertà di scelta qualunque sia il suo punto di partenza, rispettandolo e raggiungendolo proprio lì dov’è. Educare con questa miscela chimica, di amorevolezza e fermezza insieme, permette a noi adulti di essere fieri di come stiamo educando e ai bambini, alle bambine di riconoscere il valore di quello che stanno ricevendo. In pratica vuol dire allenarsi nel rinunciare all’uso intenzionale del dolore come strumento di insegnamento, che sia di tipo fisico, emozionale, di relazione o di significato, e mantenere l’obiettivo educativo fino in fondo, perseguendolo con gentilezza, coraggio e perseveranza. I risultati a volte non si evidenziano subito, ma al momento giusto arrivano ed è importante riconoscerli.
Alessio, nel podcast Efys, ci ricorda che è necessario “rafforzare le competenze dei singoli attori della comunità educante”. “Chiunque può compiere un gesto concreto per arginare la povertà educativa. (…) L’educazione, infatti, non è qualcosa confinato nel mondo scolastico e famigliare, ma abbraccia la vita del bambino e del ragazzo in ogni ambito del suo vivere civile. Ogni adulto è un educatore”.
Allora come è possibile diventare educatori competenti? Esercitandosi nella capacità, per rafforzarla appunto, di mettersi al servizio dell’altro, averne cura, donargli la nostra attenzione, rispondere alle sue esigenze, accettarlo nelle sue espressioni; e allo stesso tempo, essere fermi nell’indicazione data senza cambiarla, mantenere la scelta educativa, individuare e onorare i valori e i fini educativi.
C’è una bella frase di Andrè Rochais che riassume bene questa abilità dell’educare senza far mancare niente: “La dolcezza senza fermezza è debolezza e la fermezza senza dolcezza è durezza”.
Michela Calvelli
Ascolta i podcast:
EDUWAY_Come e perché attivare un accompagnamento pedagogico
EFYS_Come realizzare un quartiere educante