
00:00 MICHELA
Ero nella mia camera da letto, tra una contrazione e l’altra. La stanza era calda, la temperatura del mio corpo bollente, ma io avevo freddo, un gran freddo e le tre coperte che avevo poggiate addosso quasi non bastavano. Quel freddo, non era un freddo normale, era un gelo esistenziale e preannunciava qualcosa.
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Io sono Michela e tu sei su Orizzonti Educativi, la rubrica in cui liberiamo la ricchezza di rotte di chi ha colto l’essenziale e trasmesso l’amore di cui abbiamo tutti bisogno per crescere.
Oggi esploriamo il tema del pregiudizio, del come liberarci dal pregiudizio, perdere la riva, e prendere il largo nel nostro compito di genitori, ma non solo di genitori, il percorso tracciato vale per educatori in generale, qualunque sia il ruolo ricoperto.
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Allora prendiamo il largo e salpiamo insieme lungo le rotte del pregiudizio iniziando con una domanda: tu hai dei pregiudizi?
Per aiutarti a rispondere chiariamo cosa intendiamo con la parola PREGIUDIZIO.
Secondo due studiosi, Hilgard e Lippman, il pregiudizio è un atteggiamento mentale fermamente radicato che si inframette tra la realtà e la percezione che ne abbiamo, provocando delle distorsioni nel rapporto con la realtà stessa.
Ma dove abbiamo formato questo atteggiamento? E, soprattutto, possiamo liberarcene?
Una tendenza della mente è di vedere le cose in un modo che la conforta e che attenui la sua sofferenza. Quindi, vede le cose come vorrebbe che fossero: funziona proprio così per orientarsi nel mondo. Ma se ascoltiamo attraverso lo schermo dei nostri desideri stiamo ascoltando solo la nostra voce. Quella voce, però, viene dal passato e ci porta al vecchio; allora il contatto vitale con la realtà, la relazione profonda, sono persi.
Ma c’è un altro modo di ascoltare? E il modo in cui educhiamo rafforza o indebolisce questo processo?
Queste domande sono rivolte a te, perché ci interessa rimanere in dialogo e quindi ti invito, se vuoi condividere le tue risposte, ad andare sul sito www.edunauta.it per farlo.
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Ora ti presento al capitano che ho scelto per accompagnarci lungo questa rotta del pregiudizio e soprattutto per esplorare il suo antidoto. Il nostro capitano si chiama Jiddu Krishnamurti. E’ un uomo con una storia un po’ fuori dal comune, ma è uno di noi per l’amore, per la passione e per la curiosità che aveva nei confronti dell’educazione, dell’essere umano e del mondo interiore che accomuna tutti quanti. In particolare, infatti, quando era in vita fondò sei scuole. Ognuna di queste davvero rivoluzionaria e sperimentale per i suoi tempi.
Adesso, però, voglio citarti una sua frase che troviamo nel libro “Krishnamurti prima” e dice: “Per comprendere la via dovete essere ribelli, scontenti e insoddisfatti. Molti ritengono di aver trovato la verità adottando questa o quella teoria e quindi di aver risolto l’intero problema della vita, ma la soddisfazione senza la comprensione è come uno stagno ricoperto di una schiuma verde, che non riflette il puro occhio del cielo.”
E tu quanto sei scontento, ribelle e insoddisfatto?
Io raggiungo un buon punteggio su questi tre ingredienti e, forse, questo è il motivo per cui sono qui ora a raccontarti questo podcast.
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Per me il pregiudizio nella relazione con mia figlia è spuntato fuori proprio quando era appena nata: sì, proprio così! Dopo pochi mesi, anzi direi dopo pochi giorni dalla sua nascita, ci siamo ritrovate infangate dentro questa situazione in cui non riuscivamo proprio a far funzionare questo allattamento ed io avevo un pregiudizio meraviglioso sull’allattamento, perché doveva essere qualcosa di perfetto, romantico, meraviglioso, una connessione unica, profonda, davvero intensa che la natura regala a una madre e a sua figlia o figlio. Così non è stato, abbiamo avuto diverse difficoltà e, subito mi sono ritrovata immersa, in questi pensieri, di come le cose dovevano andare. E, se devo dire una qualità di questo pregiudizio e di questi giudizi che portava con sé, era che erano freddi, erano freddi come il pensiero che analizza senza cuore.
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Dall’altra parte le voci di ostetriche, pediatri, esperte di allattamento, echeggiavano nella stanza: “E’ piccola, deve nutrirsi”, “Ha la bocca piccola, fa fatica ad attaccarsi bene”, “E’ importante che si nutra”, “Attaccala, attaccala”, “Mettila così e poi così, tieni il braccio così, girale lievemente la testa, ecco così”. E dopo due giorni: “Hai le ragadi, basta, ti devi fermare”, “Non ti deve far male”, “Ma lei deve mangiare”, “Compra il latte artificiale”, “Prendi in affitto un tiralatte”, “Il tiralatte è rotto”, “Hai la mastite”, “Lei deve prendere il latte”, “Se la abitui al biberon poi non torna più al seno” “Dalle il latte dalla siringa, così è costretta a tirare” e poi l’ultima freccia che ha affondato la barca: “Toglile tutti questi aiutini, altrimenti crescerà senza spina dorsale, molle!”…
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… Questo ghiaccio, il gelo si impossessava di me. Una marea di gelide istruzioni che mi facevano sentire incapace, frustrata, innervosita, triste e stanca.
Ma dove eravamo noi? Una madre e una figlia di pochi giorni, insieme, nel gesto più antico e pieno di significato del mondo. Perché nessuno ci chiedeva come ci sentivamo? Come sentivamo di procedere? Perché nessuno parlava di noi?
Ti racconterò più avanti com’è andata a finire, ma ti posso anticipare che è stata una faticata. Ora tornando al pregiudizio, qui l’ha fatta da padrone il mio che mi teneva allacciata alla mia immagine di allattamento perfetto e romantico e quello di tutte le persone che mi circondavano, ognuna con il suo. Ma per andare oltre, questo è il quesito fondamentale da porsi: sei pronto a prenderti la responsabilità dei tuoi pregiudizi?
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Se siamo pronti a prenderci la responsabilità dei nostri pregiudizi direi che la prima cosa da mettere in campo è: dare tutta la nostra piena attenzione a quella cosa lì che sta accadendo, a quella persona lì, a nostro figlio, al nostro alunno, ai nostri studenti, a quella situazione che abbiamo davanti. Ma che cosa vuol dire dare la piena attenzione? Tradotto nel mio caso vorrebbe dire, dire a me stessa: “Michela, Francesca, ecco, vi ascolto completamente. Non so dove stiamo andando, ma siamo qui insieme, totalmente, vediamo questo stare insieme dove ci porta.”
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Per fare ciò bisogna però mettere in campo alcuni ingredienti che io qui chiamerò: il cocktail dell’attenzione.
– E il primo ingrediente è quello di abbandonare la riva sicura dei nostri pensieri, quindi lasciarci andare un pochettino nell’ignoto, stare in quel l’ignoto, farci venire un pochettino quel brivido, stare in quello spazio del “Oddio, se non penso niente, dove cavolo sono? Dove sto andando?”. Ecco.
– Poi essere intensi in questo ascolto, che vuol dire: essere completamente attenti a quello che sta succedendo, essere completamente attenti alla persona che abbiamo davanti. Tenere solo l’attenzione a quello che ci viene detto, a quello che sta succedendo. Ma che cosa vuol dire questo: se mi viene intanto un pensiero, se sono distratto da un rumore? Tranquillo, è normale, osservali, osservi il tuo pensiero, osservi il rumore che ti ha distratto e riporti l’attenzione a quello che hai di fronte. Questo vuol dire tenere l’intensità.
– Un altro ingrediente è la cura, la cura dell’altro: io mi sto prendendo cura di te, sono lì con te perché mi interessi, mi interessi tu, mi interessa quello che mi stai dicendo, mi interessa quello che stai provando, quello che stai sentendo. Krishnamurti chiama questo amore e trovo che sia una definizione bellissima dell’amore.
– Un altro ingrediente, l’ultimo, il quarto, è la profondità. Cosa vuol dire profondità? Vuol dire comprendere davvero quello che mi stai dicendo. Che cosa stai cercando di dirmi? A volte siamo bravissimi, riusciamo a dire completamente quello che vogliamo dire con le parole. A volte non è così, dietro alle parole c’è qualcos’altro che vorremmo comunicare, che non ci esce del tutto e completamente. La profondità vuol dire stare agganciati a quel qualcos’altro e, anche quando le parole sono perfette, comunque, entrarci completamente dentro, comunicano una profondità, la profondità dell’essere umano che hai di fronte. Questa è l’arte di ascoltare!
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A me vengono i brividi, te lo dico, perché è qualcosa di meraviglioso. E nell’ascoltare da questa profondità, ogni resistenza viene abbandonata: non c’è più intelletto, non c’è più pensiero o almeno non sono quelli che la fanno da padrone. Ok, è chiaro che i pensieri ci scorrono davanti, ma non sono loro a padroneggiare. Quello che ci dice il nostro capitano di questo episodio, che ascoltare in questo modo richiede grande attenzione e dissolve completamente la struttura dei condizionamenti che hanno imprigionato il cervello, il che vuol dire predisporsi completamente a ciò che l’altro ci vuole comunicare.
Ecco, il cocktail è pronto, e tu?
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Voglio sottolineare che questo tipo di attenzione non è soltanto spiegata e individuata da Krishnamurti. Ci sono tantissimi altri che ce la propongono, che ce la spiegano e che ci fanno conoscere, riportano il suo valore. Non ti cito tutti gli esempi perché starei qui veramente troppo tempo, ma per farne solo un paio, ad esempio è quello che viene chiamato “l’ascolto attivo” nei master in Management oppure si trova anche nei percorsi di mindfulness, che adesso vanno tanto di moda in campo educativo, ma anche nelle aziende, che è semplicemente quello stare nel qui ed ora, nel momento presente. Ecco questo solo per citarne due.
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Comunque, qualunque percorso scegliamo di seguire, per riuscire a sorpassare i nostri pregiudizi, il primo passo comunque resta nel riconoscere il pregiudizio. Senza questo primo step, non ci muoviamo da nessuna parte. E così è stato per me, nel caso dell’allattamento, ho dovuto passare quel primo step in cui non vedevo nulla, non vedevo realmente quello che stava succedendo, cercavo di attaccarmi da qualche parte per trovare qualche tipo di soluzione, qualche bacchetta magica presentatemi da qualche specialista che potesse far magicamente apparire nella realtà il mio sogno di allattamento e non vedevo quello che in realtà stava realmente succedendo.
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Per farlo, ho dovuto accettare l’ignoto, accettare che quello che mi era presentato davanti non lo sapevo, non lo conoscevo, dovevo entrarci dentro senza rimanere aggrappata a nulla.
Per farlo ho dovuto metterci una certa dose di fiducia e di curiosità, perché altrimenti, il restare aggrappati a quella zona di comfort, è una parte di noi che ci induce in inganno, è un tranello, perché ci dà l’illusione di ottenere quello che in realtà vorremmo, cioè stare bene, ma in realtà non ci offre davvero quel bene che stiamo cercando, che invece troviamo soltanto se lasciamo andare la riva, se ci permettiamo di voltarci dall’altra parte, di non guardarla più e di guardare l’orizzonte.
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Aiuto, ci viene un senso di ubriacatura, ci viene la nausea, ci sono le onde, però, teniamo l’orizzonte e vediamo che cosa succede dall’altra parte: dove andiamo, dove stiamo andando, dove ci stiamo traghettando.
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Quello che a me è successo è che dall’altra parte ho potuto trovare una sorpresa e, non solo allora, non smetto più di sorprendermi, perché scopro che non mi conosco mai veramente fino in fondo e che quello che esce, quando mi metto davvero in ascolto delle situazioni, non solo non conosco me, ma non conosco l’altro. E quindi mi sorprendo anche di fronte alle risorse che l’altro riesce a tirar fuori, soprattutto se stiamo parlando di educazione, che io gli permetto di tirar fuori, perché davvero un bambino, un giovane, per lui è importantissimo che ci sia un adulto capace di dargli questa possibilità, di offrirgli questa possibilità, ma per farlo prima la deve offrire a sé stesso.
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Quando offri questa possibilità, ti rendi conto che per lasciare quella riva sicura c’è un pezzettino di te che deve morire, ma una cosa che ho scoperto con tutta me stessa, non solo mentalmente, ma con ogni cellula del mio corpo, è che dalla morte si rinasce sempre e se un pezzettino di noi muore, nasce qualcos’altro.
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Il tranello in cui si può cadere, oltre a questo appena detto sopra della comfort zone, è quello del pensiero, cioè del produrre questo tipo di attenzione con il nostro pensiero: non è possibile. Se tu stai pensando di essere attento, stai producendo un pensiero, non sei attento. E quindi, attenzione, quando ci accorgiamo di pensare di essere attenti, di semplicemente prestare attenzione, osservare quel pensiero per un attimo e poi riportare la nostra piena attenzione, con gli ingredienti di cui abbiamo detto prima.
Citando Krishnamurti, lui ti dice proprio riguardo a questo tranello che: “Quando il pensiero sostiene che deve riuscire a raggiungere ad attingere l’attenzione, il movimento del desiderio di affrontare l’attenzione è mancanza di attenzione. Essere consapevoli del movimento ci riporta nella corretta posizione”.
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All’inizio, se non abbiamo mai provato a tenere consapevolmente questo tipo di attenzione, può sembrare davvero un’impresa impossibile. In realtà, cosa si può fare: allenarsi, trovare la propria motivazione e la volontà, decidere di volerci provare e poi persistere, farlo, rifarlo e rifarlo ancora.
Ricordiamo, per compiere questa impresa, gli ingredienti che ci servono per uscire dal pregiudizio che sono: innanzitutto il perdere la riva, quindi lasciare tutte le idee che nel passato ci hanno condizionato; il secondo è l’intensità del nostro ascolto, che deve essere totale, chi abbiamo di fronte a noi è l’unica cosa che vediamo; il terzo aspetto è la cura, prendermi cura di chi ho di fronte, cercare di comprenderlo completamente; e l’ultimo aspetto è la profondità, cosa davvero mi sta dicendo, vado in profondità, cerco davvero di comprenderlo.
Con questi quattro ingredienti, ti posso assicurare che io ho potuto restare in ascolto diverse volte di fronte ad alcune situazioni difficili e facili, a volte anche, con mia figlia.
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Per iniziare da cose semplici il nostro capitano di questo episodio ci suggerisce degli esercizi. In particolare ci suggerisce di iniziare ascoltando i rumori, piuttosto che un altro essere umano, una conversazione; i rumori di qualcosa che abbiamo intorno, può essere il fruscio dell’acqua, può essere degli uccellini che cinguettano e il rumore del vento.
Cerchiamo dei rumori che in qualche modo per noi siano piacevoli. Oppure lui ci dice il suono di una campana. Ci suggerisce appunto questo esercizio: “Quando quella campana suonava, la ascoltavate senza alcuna interpretazione, con assoluta attenzione? Se vi siete accorti che dicevate a voi stessi “E’ mezzogiorno’”, “Che ora è?”, “E’ ora di pranzo? Mi brontola lo stomaco”, allora vi siete accorti che in realtà non prestavate completamente attenzione a quel suono, quindi avete imparato che non stavate ascoltando”.
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Così sembra facile, no? Se per caso vi siete accorti che non stavate ascoltando, niente di meno che semplicemente, riconoscerlo: ok non stavo ascoltando e rifare, prima o poi, sicuramente riesce.
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Per ritornare alla storia dell’allattamento, visto che vi avevo anticipato che vi avrei detto come sarebbe andata a finire, come poi è andata a finire… E’ andata a finire che abbiamo trovato il nostro modo unico di farcela, certo è stato faticoso, certo nel mentre di trovarlo ci siamo perse dei pezzi, ma a modo nostro ce l’abbiamo fatta.
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Ora cito per l’ultima volta, per chiudere questo episodio, il nostro capitano: “La vita è qualcosa che va scoperta e non può essere scoperta se non lasciate, se non mettete da parte, ciò che avete trovato. Sperimenta ciò che sto dicendo: metti da parte le tue filosofie, le tue religioni, i tuoi costumi, i tuoi pregiudizi razziali e così via, perché non sono la vita. Se sei legato a queste cose non scoprirai mai la vita e la funzione dell’educazione sicuramente è aiutarti a scoprire la vita, in ogni momento. L’uomo che crede di sapere è già morto, ma l’uomo che pensa ‘non so’, che sta investigando, scoprendo, non cerca un risultato, non pensa al proprio affermarsi, divenire. Tale uomo sta vivendo e ciò che vive è la verità.”
È soltanto ascoltando che si ode il canto della vita. Allora buon ascolto!
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Mi chiamo Michela, ma chi sono? E perché realizzo questo podcast? Non sono nessuno, oppure sono una libera pensatrice, uno spirito libero, un’insegnante, una mamma, una moglie, un’appassionata dell’essere umano e da qui, a ricaduta, di educazione. Sono tutto ciò che ti arriva attraverso questo podcast, ma sono anche niente di tutto ciò, perché quello che sono davvero non è un pregiudizio, che può solo descriverlo in modo frammentato, mancando sempre del nuovo che in noi rinasce in ogni momento.
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Per approfondire Jiddu Krishnamurti, invece, potere trovare una sua biografia e l’elenco completo delle fonti sul nostro sito www.edunauta.it. Mentre il sito da cui ho tratto vari passaggi è quello di Gianfranco Bertagni, che raccoglie le riflessioni di diversi autori divisi per argomento, e il sito è www.gianfrancobertagni.it, dovete selezionare tra gli autori Jiddu Krushnamurti e poi i titoli degli articoli scelti, che sono : “Ai giovani” e “Sensibilità, bellezza e amore in Krishnamurti”.
Potete continuate ad esplorare insieme a noi gli orizzonti della relazione educativa con i prossimi episodi su www.edunauta.it. Un progetto di Generas Foundation, post-produzione e audio di Erazero.