Raccogliendo informazioni sulla pratica, ormai sempre più proposta e ventilata, di portare la scuola e l’apprendimento nel contesto urbano e territoriale, di abitare la scuola fuori dalle mura degli edifici, è interessante notare come in Italia sia una pratica diffusa sia a livello istituzionale e formale, che informale e alternativo, ognuno con i suoi riferimenti storici e pedagogici.
Tutti d’accordo su almeno due punti cruciali: che imparare fuori dalle mura scolastiche è di enorme valore e vantaggioso per lo studente, che può trarre insegnamento dall’esperienza e collegare al contesto gli apprendimenti teorici; che unire cittadinanza e apprendimento è un’opportunità per tutti in termini di coesione sociale e co-responsabilità educativa. Mentre sono un po’ differenti le modalità con cui viene proposta la pratica e il pensiero pedagogico da cui si realizza la didattica nei rispettivi contesti formali-istituzionali e informali-alternativi.
Quindi, da una parte abbiamo le Istituzioni, come il Ministero dell’Istruzione che già nel 2008 aveva promosso il progetto “Scuole Aperte”, ancora attivo in alcune città e regioni d’Italia, come ad esempio Milano (https://www.scuoleapertemilano.it) e in cui è la scuola che si propone come luogo in cui accogliere il territorio.
Oppure il Movimento delle Avanguardie Educative, costituitosi formalmente nel 2014 e nato dall’iniziativa di Indire (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione e Ricerca Educativa) e da un primo gruppo di 22 scuole pubbliche italiane – oggi diventate 1.395 –, che si sono sperimentate nella riorganizzazione della didattica per introdurre cambiamenti sostanziali nel tempo, nello spazio e nell’organizzazione del fare scuola e, tra “le idee” sperimentate, troviamo proprio la “Dentro/ fuori la scuola – Service Learning”, come pratica didattica basata su percorsi di apprendimento in contesti di vita reale che racconta pratiche di scuole come sistemi aperti al territorio (https://innovazione.indire.it/avanguardieeducative/service-learning). In particolare il Service Learning, è una metodologica e didattica che unisce il Service (la cittadinanza, le azioni solidali e il volontariato) e il Learning (un apprendimento significativo).
Il riferimento pedagogico citato dalla parte istituzionale è John Dewey (1987), che sostiene come «le esperienze di apprendimento al di fuori della classe sono forme di apprendimento esperienziale» e che nel 1916 scriveva: «La scuola stessa diventa una forma di vita sociale, una comunità in miniatura, una comunità che ha un’interazione continua con altre occasioni di esperienza associata al di fuori delle mura della scuola» (in Democrazia e educazione), per riconoscere al territorio un ruolo complementare rispetto alla scuola e promuovere esperienze di apprendimento di tipo attivo, in cui gli alunni possano partire dall’esperienza diretta, per ricercare soluzioni reali, costruire nuove ipotesi e interagire con il mondo che li circonda, contestualizzando il proprio apprendimento.
Dall’altra parte abbiamo “Tutta un’altra scuola” e la fonte pedagogica del professor Paolo Mottana: la prima è un’idea della casa editrice Terra Nuova che raccoglie e racconta pratiche educative alternative alla scuola tradizionale, attraverso un gruppo composto da rappresentanti di realtà educative scolastiche a vario titolo tra docenti, pedagogisti, scrittori, formatori, eccetera; il secondo è professore di Filosofia dell’educazione e di Ermeneutica della formazione e pratiche immaginali all’Università di Milano Bicocca e ideatore dell’approccio dell’educazione diffusa, così come illustrato nei suoi libri e articoli reperibili nel web.
Il professor Mottana, assieme all’architetto Giuseppe Campagnoli pubblicano un manuale di istruzioni per l’uso per «Una proposta rivoluzionaria per superare la gabbia scolastica che imprigiona l’apprendimento e soffoca l’insegnamento: portare la scuola fuori dalle aule, a contatto con la vita di ogni giorno», «Il libro delinea i fondamenti dell’educazione diffusa e fornisce indicazioni pratiche e concrete per intraprendere questo percorso di “liberazione” dei bambini e dei ragazzi, restituendo loro il diritto di imparare affermando la libera soggettività», come riportato sulla copertina e nella descrizione del libro “Educazione diffusa, Istruzioni per l’uso”.
Al di là di chi sia l’inventore dell’approccio educativo e della forma piò o meno istituzionale che vogliamo assegnare a questo tipo di pratica didattica, possiamo affermare che è riconosciuto, attestato e ampiamente sperimentato a livello pedagogico, che portare gli alunni presso teatri, botteghe, centri sociali, associazioni culturali, professionisti, aziende, mercati, musei, e così via, sia un’ottima scelta educativa. Rompendo i confini delle mura creiamo ponti, costruiamo relazioni e accorciamo le distanze, collegando al mondo reale ciò che si apprende a scuola, in un’esperienza che pone i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze al centro e che restituisce ottimi risultati in termini educativi.
Ciò che si conosce con tutto il corpo e non soltanto con la mente, resta nella memoria più a lungo, l’esperienza non si dimentica così facilmente come un testo imparato a memoria e, se è anche piacevole e divertente, il successo in termini di motivazione e apprendimento è assicurato. Pur essendo riconosciuta in termini educativi e pedagogici, la pratica didattica fuori dagli edifici è ancora molto rara, almeno in Italia, anche se possiamo attestarne sicuramente una crescita post pandemia 2019.
A chi vada il merito di aver diffuso questo approccio educativo non saprei affermarlo con certezza, sicuramente Terra Nuova Edizioni e Paola Mottana sono riusciti a valorizzare questa pratica e renderla realizzabile per tutti: un invito a provarci, visti i risultati in termini sia educativi che sociali. Ci sono diversi esempi, anche tra le istituzioni scolastiche che riescono a portare l’apprendimento fuori dalle mura, nel quartiere, oppure ad aprire le porte della scuola alla città, ma immagino che fatichino più delle scuole parentali [*] a realizzare il “Dentro/ fuori la scuola”, soprattutto per l’appesantimento burocratico e per la cultura iperprotettiva e deresponsabilizzante della scuola pubblica sul delicato tema dell’educazione al pericolo e al rischio, ma questo è un altro capitolo e un altro tema che magari affronteremo in un altro articolo oppure in un podcast dedicato. Intanto è possibile conoscere e approfondire alcune realtà educative che hanno praticato l’educazione nei contesti di apprendimento urbano e portato la scuola negli spazi cittadini, ascoltando i nostri podcast:
Michela Calvelli
[1] Le Scuole parentali sono delle forme di istruzione fornite fuori dalle strutture istituzionali pubbliche, permesse dalla nostra Costituzione e realizzate solitamente dal basso, da gruppi di adulti (genitori, educatori, insegnanti) che si incontrano attorno ad un progetto educativo comune.