Come imparare la danza per collaborare con bambini e ragazzi con Ennio Ripamonti

Come imparare la danza per collaborare con bambini e ragazzi con Ennio Ripamonti

00:00 MICHELA

Come posso fare in modo che bambini e ragazzi collaborino con me? Come trasformare il conflitto in risorsa?

Educare, esperienze, relazione, casa, scuola, territorio, osservare, apprendere, crescere, pensieri, progetti, programmi, regole, ascoltare, domandare, ricercare, didattica, disciplina, bisogni, errori, curiosità, talenti, emozioni

Sono Michela Calvelli e questo è Orizzonti educativi, il podcast che dialoga con chi l’educazione la vive, per estrarre apprendimenti dall’esperienza.

Oggi esploriamo il pensiero educativo e alcuni strumenti pratici suggeriti da Ennio Ripamonti.

 

Ennio si avvicina alle tematiche educative a metà degli anni 70, come giovane impegnato socialmente. Dai primi anni 80 questa passione civile diventa una professione che lo porta ad occuparsi di disagio e prevenzione nelle periferie milanesi. Con un gruppo di colleghe e colleghi dà vita poi a una cooperativa sociale e ad un’associazione culturale. Ennio ama accompagnare progetti educativi innovativi e sperimentali, unendo l’attività accademica con il suo lavoro sul campo.

Eccoci Ennio, in questo lavoro sul campo hai trattato, vissuto, interpretato e accompagnato nella pratica della collaborazione tantissime realtà diverse, dal favorire l’associazionismo e la rete in progetti di riqualificazione urbana, al costruire relazione nell’ambiente scolastico, la cosiddetta comunità educante: puoi raccontarci innanzitutto perché, eventualmente, è meglio collaborare e non è meglio, più veloce far da sé, come dice anche il detto “Chi fa da sé fa per tre”?

01:33 ENNIO 

Ma, se fosse possibile far da sé e fa per tre, effettivamente ne varrebbe la pena, invece poi scopriamo che i problemi sociali che abbiamo davanti, non sono tali per cui non c’è qualcuno che da solo, per quanto possa essere ben organizzato, ce la fa. Quindi la collaborazione è un atto di umiltà da un lato, l’idea che da soli non ce la facciamo ad affrontare problemi sociali così complessi, dall’altro lato è un atto di coraggio, il fatto di poter mettere insieme intelligenze molto diverse l’una dall’altra, capacità molto diverse l’una all’altra: forse, questa è la tesi, ci può aiutare a trovare qualche soluzione migliore.

02:21 MICHELA

Ecco, c’è un elemento che tu hai individuato che spesso blocca la collaborazione proprio nella sua fase iniziale e invece un’attitudine, una sfida essenziale richiesta per attivare questa collaborazione: potresti parlarcene?

02:38 ENNIO 

Sì, gli studi sulla collaborazione stanno proprio crescendo tanto, perché effettivamente indicano che di questo abbiamo bisogno e sicuramente un’attitudine che ognuno di noi scopre, è il fatto di aprirsi ad un ascolto e a una fiducia che cerca di mettere fra parentesi pregiudizi, cioè noi pensiamo che l’altro, l’altra, sia fatto in un certo modo, abbia certe caratteristiche, poi scopriamo, provando a fare le cose insieme, che avevamo un’idea non sempre realistica, quindi la collaborazione muove prima di tutto da un atto di fiducia, alla possibilità di fare un incontro e generare una forma di impegno reciproco che ci sorprende: ecco, ci vuole qualcuno che inizi questa danza, e quindi ci vuole qualcuno che si assuma, il rischio di provare a dar fiducia. Per collaborare bene, la prima cosa da fare è provare a farlo noi, prima che lo fanno gli altri, questo è un po’ il trucco iniziale che tanti studi di neuroscienze mostrano, peraltro.

03:43 MICHELA

Praticamente non aspettarci dall’altro che abbia voglia di collaborare e non fermarci per questo, perché pensiamo che l’altro non voglia collaborare con noi, ma iniziare comunque la danza, perché quello che succederà ci sorprenderà: è questo quello che ci stai…

03:57 ENNIO 

Si, delle volte, non rendiamo nemmeno possibile l’inizio perché abbiamo già deciso nella nostra mente che non funzionerà, quindi diciamo “Eh, proviamo a collaborare con questa scuola, con questi insegnanti, con questa associazione di genitori”, ma nel nostro retro-cranio c’è già l’idea che la cosa non funzionerà. Noi sappiamo che queste rappresentazioni mentali sono potentissime nelle relazioni umane, quindi abbiamo bisogno di prefigurare un ottimismo della pratica e quindi provare davvero a dar fiducia alla situazione: questa è un po’, l’indicazione che viene sia dagli studi che dall’esperienza, fra l’altro.

04:38 MICHELA

Nei corridoi delle scuole, tra insegnanti oppure nei colloqui tra genitori e insegnati spesso sentiamo dire “questo studente non collabora” “Suo figlio non è collaborativo”, oppure è il genitore stesso a lamentare “Mia figlia o mio figlio non fa mai quello che gli chiedo”: allora proviamo a scoprire insieme cosa c’è alla base della collaborazione; com’è possibile cioè sbloccare il meccanismo anti-collaborativo e instaurare invece un rapporto collaborativo tra educatore e ragazzo o ragazza…

Ce lo suggerisce bene Ennio in un Ted Talks in cui fa un elogio alla collaborazione e di cui cito alcuni stralci, ci dice: 

Come avviene la collaborazione? Con 5 ingredienti di questo cocktail: il primo è una qualità intensa di ascolto, la collaborazione si nutre dell’attesa del punto di vista dell’altro; il secondo elemento, fondamentale per un’esperienza collaborativa, è il fatto di approssimarsi a un punto di vista diverso, tentando di armonizzare gli interessi, per far questo c’è un tempo di attesa, di ascolto in cui permettiamo all’altro di entrare dentro di noi; il terzo ingrediente è la tolleranza, abbiamo bisogno di legittimare l’esistenza di un punto di vista altro, sopportare il fastidio di un’idea dissonante. Se riusciamo a reggere questo fastidio, riusciamo ad attraversare i nostri schemi culturali con cui siamo stati educati e entrare in contatto con un altro modo di vedere. Il quarto ingrediente è il coordinamento di intenzioni e di azioni, perché la collaborazione è un’azione, e come funziona questa azione? Come una danza, è un’azione in cui ci sincronizziamo, c’è una sincronizzazione di menti e di corpi. In ultimo: spesso collaboriamo solo se l’altro collabora; la collaborazione funziona per anticipazione, se vuoi collaborare, collabora tu, affinché l’altro collabori, apri tu la danza e avrai buone probabilità di avere un atteggiamento collaborativo anche in risposta. La vera sfida quindi è di riuscire a farlo con quelli con cui ci viene meno facile. Perché farlo? Perché si sta meglio.
Ennio, si tratta un po’ di una sfida, quindi, questa collaborazione, potresti raccontarci una tua esperienza in cui hai utilizzato questo approccio, che in qualche modo è stata anche sfidante o comunque significativa?

06:55 ENNIO 

Una che mi ha molto segnato nella mia storia professionale, per esempio, è stato l’inizio in un quartiere di Milano molto difficile, tanti anni fa nelle case popolari di San Siro, di mettere insieme le associazioni e le realtà che in questo quartiere difficile, con molti problemi, da tempo lavoravano con forme di collaborazione molto estemporanee, qualcuno con qualcun altro, qualcuno invece contro qualcun altro: quindi, non io da solo, ma con altri colleghi, abbiamo provato, con pazienza, a ricucire, dei legami di fiducia. Questo ha dato vita a molti progetti sociali, educativi, inclusivi che hanno consentito a ragazzini di seconda generazione, a famiglie, a persone con difficoltà di trovare più opportunità per la propria salute, la propria crescita, la propria educazione. Quindi, provare anche a iniziare con piccoli numeri 2, 3, 4: spesso si trovano queste cose anche nelle scuole 2, 3, 4 insegnanti, qualche associazione e confidare che l’energia positiva che poi la collaborazione sprigiona, fa da catalizzatore, attrae, in qualche misura anche seduce: ecco questa cosa l’ho visto tante volte. Alcuni all’inizio erano molto scettici, poi, dopo, magari gli stessi, due anni dopo dicono: “Ma sì dai, ci sto anch’io” poi, si scopre che cominciano a usare la parola noi, che è sempre un indicatore che sta nascendo qualcosa di collaborativo. Abbiamo un gran bisogno di questo e sono tante le esperienze in cui questa cosa accade, poi alla fine non è così raro.

08:31 MICHELA

Se io sono un insegnante che voglio coinvolgere dei miei alunni o un dirigente con gli insegnanti e mi convinco “Sì voglio intraprendere questa strada della collaborazione e questa sfida”: quali sono gli ingredienti, i passi che devo tenere a mente per entrare dentro questo viaggio collaborativo?

08:53 ENNIO 

Quando i progetti nascono dalla passione di qualcuno: io ho visto anche delle esperienze, dove sono partiti da una persona, una persona che ha cominciato a fare qualcosa di nuovo, di diverso, in piccolo, magari in una classe con un altro collega, sperimentando una metodologia diversa, eccetera: in questa fase si tratta di resistere, fra virgolette, a un pensiero scettico che oggi è molto diffuso, cioè chi prova a fare cose nuove, può trovarsi in un ambiente in cui la propria iniziativa non viene apprezzata, anzi genera sospetto: “Chi è questo, cos’è che vuol fare, cosa vuol dimostrare”. Quindi la prima cosa da fare è, creare un incubatore, proteggere gli innovatori dandogli legittimazione, qualche piccola risorsa, eccetera. Il secondo passo è sicuramente coalizzare forze, di più menti, più persone, più capacità, più organizzazioni, a partire da un nocciolo duro e, più che convincere gli altri con degli argomenti: “Fare!”, fare delle cose, farle magari in piccolo all’inizio. Quello che nei modelli di innovazione americano chiamano snow-bowling process, la palla di neve: qualcuno che comincia a fare delle cose, ecco, quando queste cose poi, hanno la forza di essere auto-evidenti. Non parlo di come sarebbe bello fare un’attività innovativa nell’insegnamento della matematica nelle classi, lo faccio, lo provo, lo documento, provo a farlo con un altro collega, questa provo a legittimarla, trovo un piccolo finanziamento, lo faccio. Questi sono i processi che oggi, in un’epoca dove prevale il disincanto, a volte un certo cinismo, un certo scetticismo, io ho visto, più promettenti. Quando poi si alimentano di energie questi meccanismi, poi riescono, anche in poco tempo, ad avere una massa critica di cambiamento piuttosto evidente.

10:57 MICHELA

Quindi, se tu domani fossi un insegnante, un preside, e vuoi prenderti cura delle difficoltà dei tuoi ragazzi: si rischia un po’ di sentirsi soli, di farsi paralizzare dalla vastità delle variabili. Da cosa partiresti, cioè come si può passare, all’inizio, dal “non si può far nulla per questi ragazzi” al “cominciamo intanto a fare qualche passo insieme”, un piccolo primo obiettivo?

11:20 ENNIO 

Io credo che tutto parta anche da come uno sta in una classe oggi. Mi viene in mente una frase di Pasolini di tanti anni fa, una poesia diceva che solo l’amare, solo il conoscere conta; cioè questi ragazzi, queste ragazze, ne ho conosciuti tanti, percepiscono se chi prova ad insegnargli qualcosa ci crede, che lui possa o lei possa apprendere, lo percepiscono, sono pre-percettivi, lo sentono sotto pelle. Tutto parte da questo. Sicuramente, un secondo fattore è l’ambiente formativo, cioè si apprende non solo nella catena di trasmissione con l’insegnante, ma anche fra pari, ci sono classi in cui molti ragazzi trovano negli altri uno scatto, quindi, alternare situazioni di apprendimento tradizionali, cognitive frontali, astratte, a situazioni su casi di realtà di tipo collaborativo e l’ho visto, che già, questo, lancia delle corde di salvataggio a quei ragazzi che hanno poco background culturale familiare. Se poi si riesce a introdurre compiti di realtà e quindi aiutare quei ragazzi, quelle ragazze più distanti dai modi astratti dell’apprendimento contemporaneo, ripeto che per cui non hanno gli schemi culturali della famiglia che li aiuta, anche questo è un elemento, senza avere progetti dedicati. Nel nostro paese non manca questa generosità: se uno alza la testa, si guarda intorno, guarda fuori e scopre che c’è un centro giovanile, un’associazione, un gruppo di volontariato che magari riescono a far scattare una scintilla, che tu in quel momento non riesci a fare. Questo nostro paese continua a essere estremamente creativo, chi confida in strategie collaborative deve essere anche animato da questa curiosità di guardarsi intorno, di vedere che cosa posso fare di diverso, cosa possono fare gli altri. La morte di questi meccanismi è la routine, è proprio quella forma di replicazione del reale così com’è, che consegna chi non sta in quei meccanismi, un destino scritto. È un tema che sento particolarmente perché, anche nella mia biografia, io ho frequentato la scuola di periferia, ricordo tantissimi compagni di classe che spariti da lì, poi purtroppo hanno avuto vita difficile. Quindi in questo caso l’apprendimento, la scuola è un tratto decisivo delle storie di vita di questi ragazzi.

13:45 MICHELA

Quindi, veramente, ritorna spesso questo tema della fiducia e dell’iniziare con questo elemento umano, come educatore, come preside, come insegnante, come genitore, qualunque sia il tuo ruolo, di provare a scommettere su chi hai di fianco e su chi hai di fronte, per innescare dei meccanismi positivi. Sappiamo allo stesso tempo che proprio un elemento che spesso fa arenare e blocca questo tipo di processi è la fiducia, e quindi la sfiducia, in quel caso; e un altro elemento che spesso sorge è il conflitto, e a volte anche le emozioni legate al conflitto che non sono semplici da attraversare. Potresti per favore dirci nella tua esperienza, portando anche degli esempi che ti vengono in mente, cosa è stato decisivo per ripristinare la fiducia e che cosa per trasformare un conflitto, entrare in un conflitto?

14:51 ENNIO 

Ma, il conflitto è costitutivo dell’esperienza umana, c’è poco da fare, non è che possiamo farne a meno, anzi quando non c’è per nulla, o siamo di fronte ad una situazione straordinariamente coesa e felice e collaborativa, quindi l’assenza di conflitto, indica una famiglia meravigliosa, una scuola fantastica, degli amici stupendi oppure indica un alto tasso di conformismo e di rassegnazione. Quindi il conflitto è innanzitutto in qualche misura energia, cioè dobbiamo vederlo così, energia. Perché quando si confligge c’è qualcuno che ha voglia di fare qualcosa di diverso da qualcun altro. Il problema è quando il conflitto non viene gestito e diventa violenza agita, oppure diventa ostilità. Ecco questo è un altro piano ed è quello che accade a volte. L’intelligenza che ci serve oggi è di riuscire a collaborare con quelli con cui non è così tanto facile collaborare perché magari è un collega che non la vede come noi. Ecco questa è la sfida. In questo senso dobbiamo attraversare diverse forme di conflitto… perché il termine indica sempre qualcosa che ha a che fare col litigio. Ma soprattutto dove in gioco ci sono idee del mondo diverse, controversie, opinioni differenti; quindi credo che abbiamo bisogno di persone allenate ad attraversare i conflitti e che possano resistere alla tentazione di rompere la relazione o di farla tracimare in un conflitto agito. Ecco questo tipo di intelligenza chiede un’attitudine, che però è un’attitudine umana, il software ce l’abbiamo nella testa per fare questo, quindi sappiamo far la guerra però sappiamo anche cooperare. Quello che noi alleniamo in questo caso, in questi progetti è la parte che sa cooperare, la maggioranza delle persone, tendenzialmente, ce la fa nella propria vita personale. In un’epoca di forte individualismo e competitività alleniamo meno la capacità cooperativa, questa è un po’ la sensazione che ho io, cioè noi continuamente alleniamo il nostro protagonismo individuale, la nostra specializzazione, le nostre competenze di singolo, mentre questi problemi come la dispersione scolastica o la sofferenza dei ragazzi hanno bisogno invece di allenare l’altra parte della mente e del corpo, che è quello che di mettere insieme i punti di vista.

17:19 MICHELA

Interessante che parli di software, mi fai venire in mente come a volte, quando ti trovi nel conflitto, senti un’energia vitale che ti attraversa, quale posizione ti permette di non entrare poi nel litigio, nello scontro?

17:40 ENNIO 

Sicuramente il conflitto è un momento di verità, cioè quando confliggiamo con qualcuno emergono punti di vista, emergono emozioni diverse che sono in contrasto. Sicuramente, sono tantissimi gli studi su questo tema, perché noi sappiamo che i conflitti tendono all’escalation, ognuno di noi lo prova fin da quando è piccolo. Ci è capitato tante volte in cui ci accorgiamo che alziamo il tono della voce, della polemica, le spariamo sempre più grosse, però sappiamo anche che a volte le cose che escono dopo sono come di un sovraccarico, in qualche misura emotivo, che noi stessi reputiamo sovrastimato: già mezz’ora dopo e siamo pentiti di aver fatto la sfuriata, anche le altre persone lo sanno. Noi dobbiamo fidarci anche di questi meccanismi autoregolativi. È possibile ricomporre, è possibile raffreddarli i conflitti, è proprio una saggezza umana di farli decantare. Quando siamo dentro al conflitto, a volte, la cosa migliore, oltre una certa soglia, è fermarsi, fermarsi e poi lasciar depositare, lasciar passare tempo e poi ricucire queste cose. Sicuramente chi coordina questi progetti è particolarmente dotato in questo, tant’è che ci si forma anche per fare i mediatori dei conflitti oggi, perché siamo in una società altamente micro conflittuale, già nelle relazioni interne di una famiglia, di condominio, che indicano anche una società più libera, perché la società con meno conflitti era anche una società meno libera, dove le gerarchie congelavano i ruoli, quindi non era possibile confliggere.

19:20 MICHELA

Quindi per fortuna oggi è possibile entrare in conflitto ed è possibile farlo in modo pacifico, semplicemente fermandosi, lasciando il tempo che si raffreddi un po’ l’emozione. Inoltre, come insegnanti e come genitori, grazie a questi spunti condivisi con noi da Ennio, possiamo ritrovare la motivazione a collaborare e gli strumenti per farlo: perché collaborare ci aiuta a trovare soluzioni migliori, ci fa stare meglio e possiamo, sin da subito, iniziare noi la danza.

Grazie Ennio per averci accompagnato in questo prima parte del dialogo esplorativo sul tema della collaborazione…

19:25 ENNIO 

Grazie, grazie a voi.

19:27 MICHELA

Per approfondire il tema della collaborazione è possibile ascoltare il Ted Talks di Ennio, intitolato “Elogio alla collaborazione”, oppure, per gli amanti della carta, acquistare il suo libro “Collaborare. Metodi partecipativi per il sociale.”

Nella prossima puntata con Ennio esploreremo, invece, l’esperienza di una preside coinvolta nel progetto di recupero della dispersione scolastica in cui l’approccio collaborativo è stato decisivo, scopriremo alcune strade attraverso cui è possibile restituire la motivazione ai ragazzi e alle ragazze e i metodi che hanno avuto successo nella sperimentazione.

 

Potete continuare ad esplorare insieme a noi gli orizzonti della relazione educativa con i prossimi episodi su www.edunauta.it. Un progetto di Generas Foundation, post- produzione e audio di Erazero.

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