Come educare oltre i propri condizionamenti con Osvaldo Poli
00:00 MICHELA.
Vi siete mai chiesti se i genitori si debbano sempre sentire responsabili di tutto ciò che succede ai figli?
Com’è possibile superare i propri limiti come genitore? Sono Michela Calvelli e questo è Edunauta, l’esploratore di pratiche educative. Dialoghiamo con chi l’educazione la vive, per ri-sognarla e trasformarla insieme.
Oggi esploriamo il pensiero educativo e alcuni strumenti pratici suggeriti da Osvaldo Poli.
Il dottor Poli, lavora come psicoterapeuta nell’ambito della genitorialità e, nella sua esperienza professionale, trova che essere consapevoli dei propri punti deboli come educatori, sia la chiave per essere dei buoni genitori.
Eccoci Osvaldo, nel rapporto genitori figli tu sottolinei particolarmente l’importanza del determinismo educativo, un virus invisibile e molto diffuso nella attuale cultura educativa che miete molte vittime fra i genitori. In questo tempo pandemico, l’analogia calza a pennello: ci puoi spiegare…
01:13 OSVALDO.
È proprio così. L’esperienza di questi giorni di pandemia ci fornisce una chiave interpretativa dell’azione educativa particolarmente pertinente. Infatti, non esistono solamente i virus biologici, di cui stiamo facendo esperienza, che infettano l’organismo, ma anche i virus psicologici e i virus culturali che possono insinuarsi sia nel software del carattere, i primi, e nella filosofia educativa dei genitori, i secondi. I virus culturali sono dei nemici invisibili, esattamente come il covid 19 e molti genitori ne sono dei portatori inconsapevoli, diciamo. I virus psicologici agiscono sotto il velo dell’inconsapevolezza, il genitore quando agisce educativamente, agisce praticamente sempre in buona fede, con le migliori intenzioni, ma ciò nonostante può adottare dei comportamenti inadeguati perché ispirati, per esempio, da qualche paura o da qualche senso di colpa. I virus culturali invece sono delle convinzioni, più che altro, rivestite ormai dal mantello dell’ovvio, sono comunemente accettate, nei cui confronti sembra non vi siano strumenti razionali di contrasto che potrebbero invece favorire una comprensione diversa della realtà. L’errore di questi virus culturali non viene più riconosciuto come tate. Proprio il determinismo educativo mi sembra essere un virus culturale sfuggito da qualche laboratorio filosofico che, con piccole ma continue modifiche al buonsenso, ha infettato la nostra cultura educativa. Il Manzoni, lo voglio qui citare, diceva ad un certo punto, riferendosi al suo tempo, che il buonsenso stava nascosto per paura del senso comune, adesso come allora, e quindi, sono diventati di senso comune dei presupposti che in realtà sono fuorvianti. Il determinismo educativo è pervasivo e invisibile, ha queste caratteristiche e, come dicevo, non abbiamo molti strumenti culturali per contrastarlo, purtroppo, al punto che il suo contenuto è comunemente ritenuto vero, certo e affidabile. Provocando così una deformazione nella obiettiva interpretazione dei fatti educativi.
03:15 SPEAKER.
Edunauta, oltre ai i virus psicologici già descritti, Osvaldo ce ne fornice una rassegna esemplificativa anche nel suo libro “La mia vita senza di me”: ce li puoi illustrare?
03:38 MICHELA.
Eccone alcuni a titolo esemplificativo:
- ad esempio l’idea che il figlio non “non mai debba soffrire”, che può essere curato con l’identità morale e il riconoscere davvero cosa è bene e che cosa è male;
- oppure il genitore tecnicizzato, quello che sposta tutto l’accento sul metodo, sulle tecniche, che può essere neutralizzato con il recupero del contenuto e dei valori che ci guidano;
- infine l’ideologia del disagio in cui, per evitare al figlio di provare questa sensazione, si giustifica il suo comportamento scorretto, e va curato con l’impegno e la fatica per procedere nella direzione indicata dalla propria coscienza.
04:09 OSVALDO.
Direi che il determinismo educativo parte da un presupposto fallace, che così descriverei: che il figlio nasce come se fosse una pagina bianca, su cui noi scriviamo la loro storia con la penna della nostra bravura educativa e significa che tutto, dovrebbe essere ridotto, dunque in questa visione, alla nostra bravura, alla nostra capacità di essere dei buoni genitori. Non è proprio così che vai intesa, perché carica il genitore di una responsabilità eccessiva, determinante e fa intendere che l’educazione sia determinante, non semplicemente importante: questo non è e questo non può essere. In realtà, la cosa va capita diversamente, a cominciare dal fatto che esiste un temperamento e questo concetto è da qualche decennio che è completamente trascurato nella psicologia. Il temperamento è quella dotazione naturale, quelle caratteristiche che ci sono fin dall’inizio, l’altrimenti detto “la stoffa”, “il DNA”, “l’indole”, che va tenuta nella debita considerazione, che ha una importanza altrettanto grave quanto le capacità educative del genitore, nel determinare la storia personale.
05:23 MICHELA.
Tu lo chiami il software preinstallato, con cui nasciamo…
05:26 OSVALDO.
Esatto! Nascono con un software preinstallato, una variabile che non è da sottovalutare: è una variabile decisiva, nel capire il perché delle cose, perché un figlio ha questi comportamenti o reagisce in quel certo modo. Sembra un concetto dimenticato, ma in realtà va rimesso in auge, cercando di distinguere, anche concettualmente, cose che oggi sono sovrapposte: quali il temperamento, il carattere, la personalità, e l’identità, che sono 4 matrioske che hanno un diverso, differente significato. Il temperamento è la dotazione naturale, il carattere è il frutto anche della storia personale e della storia educativa. Ecco perché l’educazione è semplicemente, tra virgolette “importante”, ma non decisiva, non è determinante, è molto importante. Quindi, è chiaro che nascere in un contesto in cui ci sono dei genitori equilibrati e saggi, rende la storia diversa piuttosto che il contrario, ma non è determinante. La personalità, poi, è un altro concetto che si chiude, intorno ai 30 anni con la fine dell’adolescenza e l’identità invece si chiude, come processo, intorno ai quarantacinque, un’età anche molto intrigante dal punto di vista dei cambiamenti personali. Andrebbe esplorata meglio quest’età. Questo per dire l’importanza del temperamento, chi ha più di due figli se ne accorge immediatamente, sono fatti lo stesso modo, un po’ sovrappensiero, eppure alle volte ti nascono che non sembra neanche parenti: tanto un figlio è delicato e sensibile che si accorge dei tuoi cambiamenti d’umore, tanto uno bisogna spiegarglielo il venerdì per il lunedì, cioè non si accorge neanche quando stai male. Oggi la cultura induce a ritenere che tutto sempre comunque sia riconducibile alla nostra capacità educativa e forse anche ai nostri errori, questo mi mette in crisi i genitori: tutto ciò che non va nei figli e, neppure troppo segretamente, è ricondotto ai loro errori, alle loro incapacità, alle loro imperfezioni.
07:25 MICHELA.
Sì, il primo passo, possiamo dire, che è quello proprio di riconoscere e sfatare: errore del figlio, uguale mamma non brava. Ecco, non è così, si può iniziare a guardare il figlio in chiave obiettiva riconoscendo il suo software preinstallato, come lo chiami tu. Tu indichi poi quelli che possono essere i passi da compiere, per prendere consapevolezza, invece, delle debolezze affettive, come genitori, che condizionano poi il rapporto educativo. In particolare, cito una frase che spesso ripeti: “Amare la verità più di noi stessi”. Ecco, che cosa vuol dire questo?
08:00 OSVALDO.
Sì, è una mia convinzione profonda, che bisogna amare la verità più di noi stessi e bisogna amare la verità più del figlio stesso. Riconoscere alcuni difetti, questo è un concetto, che va esplicitato: che questo software preinstallato non è immune da pecche, da difetti, si chiamano proprio così, ci vuole coraggio anche per pronunciare questa parola che è antichissima, “difetti”. Il software preinstallato non è meraviglioso, non è perfetto e quando mai un figlio nasce perfetto? Solo nella nostra immaginazione, possiamo continuare a ritenerlo tale, sia detto chiaro: non sempre tutto è riconducibile, sempre necessariamente, a qualche impostazione, a qualche mancanza di mancanza di amore, di sensibilità, di tempo e di qualsiasi altra cosa, riconducibile alla mamma. Dicevo che bisogna amare anche la verità più di noi stessi perché per essere dei genitori un po’ migliori, dobbiamo fare questo piccolo percorso personale interiore, che consiste sempre nel dirci la verità. Non c’è nessun miglioramento, senza questo ingrediente essenziale: la verità di noi, che è a volte, anche difficile da accogliere, perché è sempre una ferita narcisistica, cioè quando ci diciamo la verità, non ne usciamo mai particolarmente gloriosi e impeccabili, anzi, tutt’altro. Accettare la ferita della verità è segno di grande maturità, direi che la maturità consiste esattamente proprio in questo: amare la verità e la giustizia più di noi stessi.
È il bambino che è seduto sul cavallo del proprio carattere e va dove dice il cavallo, la persona matura mette le redini al proprio temperamento, al proprio carattere e va dove egli ritiene che si debba andare. Quindi è guidato dal valore e non dal temperamento tanto meno dal carattere, è guidato da ciò che nella sua coscienza considera vero e giusto. Questo è una premessa importante, per dire che, per diventare genitore migliori, bisogna fare un piccolo viaggio interiore, un piccolo viaggio di amore per la verità dentro di sé e cercare quali sono i punti deboli del carattere, i propri virus psicologici, i propri difetti dello stile educativo, che ci contraddistinguono, avere il coraggio di illuminarli con la mente, di accettarli col cuore. Faccio un esempio per illustrare tutto ciò: se una mamma, per esempio, ha il virus dell’apprensività, e di virus ce ne sono parecchi, questo qui ha la carica virale bassa, facciamo questo esempio: l’apprensività. Se questa mamma non si rende conto, di essere apprensiva e quindi continua a rappresentare al figlio il mondo come pieno di pericoli e minacce, eccetera, è chiaro che pone il suo peso, amplificando la sua paura, la sua timidezza, la sua incapacità di stare al mondo, insomma. Poi lo guardi giocare in ricreazione, giocare insieme agli altri, ti dici: “Perché il mio è il più ingommato?” Questa mamma se non si rende conto, non accetta che ha tale virus, non può capire come realizzare il bene educativo reale del figlio. Perché alla fine tutti noi genitori vogliamo un’unica cosa, vogliamo crescere bene nostro figlio, e poco ci importa di trovare dei limiti o dei difetti del nostro stile educativo, l’importante è che l’opera riesca bene e se bisogna anche dirsi che non siamo perfetti, siamo disposti pure a farlo per amore loro. Facendo questa operazione, è chiaro che sappiamo anche dove e come migliorarci, a cosa stare attenti, quali sono le trappole psicologiche, i tranelli in cui non cadere, proprio per amore del figlio, perché lui cresca bene. Quindi, la consapevolezza è tutto!
11:34 SPEAKER.
Edunauta, nel suo libro “La mia vita senza di me”, Osvaldo ci suggerisce come si rischia di distorcere la nostra opera educativa, scrivendo che “mentre la mano destra traccia linee armoniose ed equilibrate, la sinistra cancella e distorce il disegno originale”, puoi indicarci i passi da lui tracciati per un’educazione consapevole?
11:55 MICHELA
Primo passo “La decisone”: siamo pronti a scoprire la verità su di noi; secondo passo: “Dare un nome al nemico”: guardare le paure che ci condizionano e chiamarle per nome; terzo passo “Accogliere il dolore”: attraversarlo permette al cambiamento di arrivare; quarto passo “Il nascondimento”: la trasformazione è un processo che si compie inizialmente “in segreto”, protetto dalle interferenze.
Stai dicendo qualcosa di molto semplice, ma di per niente scontato. La cosa forse più importante, è proprio riuscire a dare un nome, riconoscere per smascherarle, queste debolezze, e in questo senso tu dando un nome vero e proprio tutte le varie paure in azione che si manifestano, aiuti, accompagni i genitori. Ecco puoi accompagnarci dentro questo riconoscere e smascherare?
12:44 OSVALDO.
Sì, volentieri. Il fatto di, come dicevi, di dare un nome al nemico, è già per metà averlo in nostro potere: così ci insegnano le fiabe da cui traiamo grande saggezza. Dare un nome al nemico vuol dire, dire esattamente qual è la paura, perché spesso, nel 90% dei casi, questi virus sono intessuti, di questo vissuto che si chiama paura, la paura di qualcosa, che a volte mi permea, che a volte entra nel sistema operativo e dirige l’operazione invece che, lasciare che siano dirette dal valore. Il valore è sempre il bene educativo reale del figlio e, a volte, bisogna anche superare certe paure, per riuscire a fare ciò. Ecco, nella cultura popolare, questi virus, sono molto ben conosciute, si chiamano: “menate che mi faccio in testa”. Ecco, detto per capirci fino in fondo. Se riusciamo a individuarle e a dare un nome, forse possiamo fare la cosa giusta: la cosa giusta è dire “sì”, quando è il caso dire sì, e “no”, quando è il caso di dire no, invece che farci delle menate. Quindi la consapevolezza è grande valore, e anche in questo, mi premeva sottolineare, che il coraggio di fare questo percorso, per quanto doloroso, è proprio l’amore per i figli, perché se non fosse per loro e per fare il loro bene, forse sfuggiremmo a noi stessi. Il mio maestro diceva che la verità è pericolosa per chi la cerca, perché si fa trovare e quindi chi la vuol trovare, va a finire che ce l’ha abbastanza vicino, capito. Bisogna solo desiderarla, bisogna solo volerla, poi se non ci arrivi da solo, ti fai anche aiutare. Per esempio, l’antivirus naturale che la provvidenza ci ha messo accanto è il nostro coniuge: se te fai la domanda giusta e clicchi il pulsante giusto, la risposta ti viene. La domanda giusta sarebbe, chiedere al coniuge: “Che cosa pensi sinceramente di me, come mamma dei nostri figli o come papà dei nostri figli?”. Ecco, sarebbe un ottimo intrattenimento, solo che è roba forte, hai capito, è roba hard. Diciamo di amare la verità, ma quando suona alla porta, diciamo di non essere in casa. Quindi abbiamo anche delle resistenze affettive mica tanto facili da superare nei confronti della verità. Spesso i nostri limiti, i nostri difetti, le nostre incoerenze, a volte noi non le vediamo, le vedono invece molto più realisticamente, chi vive con noi, chi sta con noi, chi ci sta vicino, ma perché cogliere la nostra ombra è piuttosto complicato, vedere quella degli altri è di una facilità, sconcertante. Per cui ci vuole coraggio, ci vuole dalla maturità, specchiarsi nello specchio dell’altro. Se i nostri virus, le nostre debolezze affettive noi non le vediamo, le vedono benissimo, oltre al coniuge, i figli, i quali, evidentemente cercano di approfittarne, giocandoci dentro, così come si dice popolarmente, ma è una bellissima espressione, che proprio dice la verità di queste cose: giocando dentro, toccando quei tasti, suscitando quelle paure, amplificandole, che poi alla fine ti fanno cedere o ti fa fare quei lavori che non vanno fatti, per il loro bene, ma che a volte a loro, come dire, conviene che tu faccia. Incantesimare un genitore significa volergli far credere la cosa che sia vera, mentre tale non lo è, però se riesce a fartelo credere, sei in suo potere. Le fiabe anche in questo insegnano una grande saggezza, che quando uno cade prenda dell’incantesimo, cade per terra come morto, non riesci più a capire, dov’è la verità delle cose. Mi spiego con un esempio, se la mamma chiede al figlio “Perché hai preso questo brutto voto in geografia?” e lui ti risponde “Perché te ieri non me l’hai provata”, è chiaro che la sta incantesimando, cioè gli sta attaccando la flebo del “É colpa tua, io non c’entro niente e quindi non sono responsabile della mia condotta scolastica: sei tu che hai sbagliato, quindi io vado male a scuola, ma la colpa è tua”. Se la mamma mangia questo boccone avvelenato, perché magari fa il retro ragionamento “Stai a vedere che c’ha ragione perché storia ce l’ho provata e ha preso un bel voto, geografia invece non ce l’ho provata e preso insufficiente, quindi è proprio vero che…”, e quindi si riveste di questo incantesimo malefico, è chiaro che poi, il giudizio, la percezione delle realtà, non è obiettivo, non è realistico, perché di fatto pensa che la colpa sia sua e parte da questo presupposto per correggere comportamenti scolastici del figlio: “tanti auguri”, credo che non ci riuscirà mai! Amare la verità più il figlio stesso vuol dire anche dare al figlio il dolore della verità che lo riguarda: questo è essenziale. A partire da questa diagnosi, forse qualcosa si può fare si può terapia adeguata, altrimenti se lui va male, ma la colpa è mia, addio, uno entra in un tunnel, per cui fa le scuole insieme al figlio, fino all’università.
17:25 MICHELA.
Tu nel tuo libro, “La mia vita senza di me”, fai un bell’elenco di queste paure, dandogli un nome, una per una e ce n’è una tra tutte, che chiami “la madre di tutte le paure” che si può riassumere nel timore di essere soli. Cito il testo che hai scritto, dove dici: “La madre di tutte le paure: il timore di essere soli. Essere soli significa non avere altro che se stessi per poter capire, per comprendere la realtà e prendere le opportune decisioni, soli con sé stessi, dunque con la possibilità di sbagliare, essere criticati, non piacere a qualcuno. Per alcuni aspetti e più è facile assumere i giudizi altrui senza interrogarsi sulla propria intima conoscenza con essi, delegando ad altri la propria funzione regale.” Ecco, mi piace molto questo passaggio che scrivi, ci puoi accompagnare dentro queste righe, condurci nell’osare liberarci ed andare oltre questo timore?
18:25 OSVALDO.
Sì direi che la madre di tutte le paure, e lo riconosco sempre nella mia attività professionale, riassumibile, credo in questo: la mancanza di coraggio, perché ci vuole coraggio ad essere se stessi, cioè ad assumere la propria intelligenza, la propria capacità di capire le cose, assumere i limiti, ma anche il coraggio di capire le cose, così come io, con umile audacia, devo pure arrischiarmi a vivere, a capire, per come la verità e la giustizia si presenta alla mia intelligenza e alla mia coscienza, punto. Ci vuole del coraggio di essere sé stessi ed è un processo molto lento, profondo, di maturazione, Jung lo chiamava di individuazione: il coraggio di essere sé stessi, fallaci, imperfetti, disposti a migliorarsi, a riconoscere le proprie imperfezioni, ma, insomma, fondamentalmente, ad agire con gli strumenti, con le capacità che abbiamo. Spesso è più facile, come dire, accodarsi ai giudizi altrui, scappare da sé stessi, scappare da quella percezione istintiva, innata, della verità e della giustizia, che pure abbiamo, per delegare ad altri queste funzioni, insomma, nascondendoci a noi stessi. La solitudine è il coraggio di essere sé stessi, fino in fondo.
19:44 SPEAKER.
Edunauta, puoi dirci il primo passo da compiere una volta terminato l’ascolto del podcast?
19:50 MICHELA
Il primo passo da compiere è quello di riconoscere una paura in azione che condiziona il nostro agire educativo e sostituirla con un valore, che non è non un elenco di cosa è giusto o sbagliato, bensì quel qualcosa dentro di noi che “ci prende bene”, che suscita energia, che scaturisce dal centro di sé e ci da slancio vitale.
Ecco grazie a Osvaldo Poli che oltre ad averci accompagnato dentro la mappa per riconquistare la verità come genitori educatori, ci offri anche con generosità sul tuo sito www.osvaldopoli.com, molti video, pubblicazioni, estratti dei tuoi libri e diverse raccolte con strumenti di riflessione e approfondimento, per poter intraprendere i primi passi verso sé stessi come genitori, come educatori e come esseri umani. Grazie!
20:35 OSVALDO.
Grazie a voi, grazie.
20:38 MICHELA:
Nella prossima puntata scopriremo come trasformare i virus psicologici che condizionano il rapporto con i figli, riconsegnare a loro la responsabilità delle proprie scelte e cosa significa essere sé stessi nello studio.
Continuate ad esplorare insieme a noi l’universo della relazione educativa con gli episodi di Edunauta su www.edunauta.it
21:05 SPEAKER:
Un progetto di Generas Foundation, scritto da Michela Calvelli. Post- produzione e audio di Erazero.