Si accusa la famiglia di essere incapace di educare, di essere in crisi.
Come mai la famiglia è in crisi? Perché non è capace di educare?
Può essere che sia la stessa società, che contiene la famiglia, ad essere in crisi?
E soprattutto, la denuncia vuole puntare il dito e scaricare responsabilità o gettare un salvagente?
Per come comprendo la situazione, nella crisi attuale della famiglia siamo tutti chiamati in causa, nessuno escluso. Il modello sociale del nucleo famigliare autosufficiente, felice nel suo abitare le quattro mura domestiche, in cui tutti i bisogni sono soddisfatti dal mercato del consumo, sempre più semplici da raggiungere con un click, è un’isola infelice destinata a sprofondare. La famiglia chiusa in se stessa per proteggersi dal pericoloso mondo esterno, ora anche minaccioso portatore di virus, che ritiene di potersi realizzare possedendo tutto ciò di cui ha bisogno, è un’idea costruita dal mercato, da forze culturali e consumistiche, da condizionamenti che vanno contro la stessa natura dell’essere umano.
L’essere umano è essere in relazione, con se stesso, con la sua psiche e i suoi sentimenti, con gli altri, con la natura, con le cose che possiede, con la vita. In effetti, non esiste vita fuori dalla relazione e la comprensione delle dinamiche che sottostanno ad essa – non solo biologiche, ma anche psichiche, comprese le immagini idealizzate e stereotipizzate che hanno conquistato l’immaginario collettivo – conduce alla serenità, a quella realizzazione da tutti cercata, più o meno consapevolmente e ancora così poco conquistata. La relazione è il luogo da cui nascono la miseria o la ricchezza umana. “A me piace dire che non siamo gli insegnanti, ma siamo i segnanti, coloro che segnano indelebilmente un bambino”, sostiene Emily nel podcast Lilliput. La storia e le scienze sociali narrano un uomo che ha vissuto per due milioni e mezzo di anni nelle tribù, nelle comunità, in ampie reti di relazioni. Da soli 80 anni circa a questa parte, la comunicazione di massa e gli interessi del mercato propongono il modello del nucleo isolato, la cosiddetta famiglia nucleare, autosufficiente che provvede al proprio sostentamento economico, esaltandolo a valore primario su cui fondare l’intera propria esistenza. Infatti, se sembra che i valori siano in crisi, assume invece un ruolo sempre più centrale il valore della sicurezza economica: l’acquisto di una casa, l’avvio di un’attività, la stipula di polizze assicurative e così via…
Così, accade sempre più di frequente, come riportano vari sondaggi e studi sociali, che la famiglia sia troppo sola nel momento del bisogno, che non abbia relazioni significative con gli altri sistemi che compongono la società. Uno di questi organismi sociali, il primo o il più significativo con cui si interfaccia la famiglia è la scuola che, anziché puntare sul sostegno, l’accoglienza, l’accompagnamento e la formazione a e per le famiglie, si limita a puntare per lo più il dito contro queste ultime.
Ma chi ha insegnato ai genitori a “fare i genitori”?
La relazione genitori-figlio/a si porta così il carico psicologico ed emotivo del suo vissuto e da figlio o figlia con i propri genitori. Quando venire al mondo di ogni figlio/a, insieme a lui/lei nascono anche due genitori e nonostante i buoni sentimenti e le migliori intenzioni da cui si sentono guidati, incappare in “errori educativi” è parte del percorso di crescita, dal momento in cui si inizia ad incarnare questo ruolo. Insieme ai genitori, nel compito educativo, si affaccia relativamente presto l’insegnante e così oltre alla famiglia, c’è la scuola e insieme si assumono il compito di crescere ed educare l’umanità. Mi vorrei proprio soffermare sull’aspetto di questo insieme. Quanto e come, oggi, famiglia e scuola educano insieme?
I podcast che ispirano l’articolo di oggi, Parco della Gratitudine, Oplà e Lilliput, affrontano il tema del sostegno alle famiglie, come punto centrale e indispensabile del compito educativo della scuola. Come racconta Emily nel podcast Lilliput: “Il punto da cui partiamo è che i bambini stanno bene se le loro famiglie stanno bene e le famiglie stanno bene se gli adulti di queste famiglie hanno trovato una forma di armonia e di dialogo con i bambini che sono stati. (…). Quindi abbiamo sentito come dovere principale della nostra esperienza, che è diventata la caratteristica della nostra scuola, l’andare a sostenere ogni famiglia, ogni bambino nella comprensione di chi sono, cosa voglio e dove voglio andare.”
In un interessante studio (Nardone et al. 2001) vengono descritti sei tipi psicologici di comportamento di un genitore italiano, dovuti ai condizionamenti ricevuti, che una volta resi consapevoli e compresi, possono smettere di essere replicati nella relazione genitore-figlio/a, avendo effetti disfunzionali sulla buona crescita e sull’educazione di questi ultimi. Si tratta di sfumature psicologiche più o meno forti e definite, spesso mischiate tra loro, che gli autori chiamano “modelli genitoriali” e sono:
- Il modello autoritario, quello tipico del “padre-padrone”, dove la relazione è caratterizzata da rimproveri e ordini, anche aggressivi, che possono facilmente sfociare in ferite verbali e/o fisiche. Quando prevale questo schema psicologico il comportamento del bambino, della bambina è dettato dalla paura, che può portare a isolamento sociale, basso livello di autostima, al trattenersi, realizzando le proprie aspirazioni trasgredendo, oppure in evasione e in fuga dalla realtà.
- Il modello democratico-permissivo, in cui la continua ricerca di conferma da parte del figlio/a, rende il genitore debole nel definire ruoli e regole chiari, evita il conflitto e genera un figlio o una figlia con il bisogno di identificarsi con una figura “forte”, spesso diventando un piccolo o una piccola “despota”, crescendo con un senso di inadeguatezza di fondo, con difficoltà nel riuscire al perseguimento dei propri obiettivi.
- Il modello iperprotettivo, tipico di genitori che tendono ad evitare ai figli e alle figlie qualunque tipo di frustrazione, di dolore o sofferenza anche minima. Così il bambino, la bambina si troverà sopraffatto/a quando incontrerà inevitabilmente la vita con tutta la gamma di esperienze di cui è composta, si sentirà incapace e faticherà a riconoscere i suoi talenti.
- Il modello intermittente, che rimprovera oppure conferma il comportamento del bambino, della bambina più sulla base del proprio umore, che sulla definizione e individuazione di precisi obiettivi educativi e chiare regole. Così, senza quasi accorgersene, il genitore comunica che un momento è necessario rispettare una regola e il momento successivo non lo è più. Nel bambino, nella bambina si genera un senso di dubbio e di autocritica eccessiva, in una personalità sofferente che alterna ribellione e adattamento.
- Il modello sacrificale, più spesso riscontrato nelle madri che nei padri, in cui la comunicazione genitore-figlio/a, verbale e non verbale, è sottilmente infarcita di ambigui messaggi riguardo al sacrificio del genitore, ma il sacrificio per ottenere l’amore dell’altro porta inevitabilmente con sé amarezza, delusione, risentimento, che si traducono in figli e figlie che crescono con una sicurezza fasulla e con un’aggressività latente.
- Il modello delegante, infine, come dice la parola stessa, consegna ad altri la responsabilità educativa verso i figli e le figlie, che possono essere nonni, insegnanti, baby-sitter e così via. Il continuo cambiamento dei riferimenti educativi genera un senso di sfiducia delle proprie possibilità e la disperata ricerca di riferimenti stabili.
È un brevissimo excursus di un intero libro, ma, ti sei riconosciuto in alcuni di questi tipi?
Importante, se non decisivo per i genitori, è comprendere cosa ci si porta dal passato per poter sciogliere davvero gli schemi comportamentali che condizionano l’agire educativo, lasciandosi guidare dall’affascinante scoperta dell’origine del nostro pensiero. Allora, è anche possibile per la coppia di genitori individuare degli obiettivi educativi comuni, una metodologia condivisa, mantenere una coerenza educativa tra ciò che si dice e ciò che si fa e, infine, assumere entrambi il compito e il ruolo educativo. Sono quattro righe scritte, ma sappiamo che non sono solo quattro semplici passi, spesso è complesso, così come siamo complessi noi esseri umani nei labirinti delle nostre menti. Essere in relazione con qualcuno che possa accompagnare i genitori nel loro “fare ed essere genitori” è fondamentale e decisivo per portare comprensione, profondità, attenzione, competenza al nostro compito e ruolo.
Cinzia, una mamma nel podcast Lilliput ci ricorda che: “C’è una certa via di fuga da se stessi, mentre in questo tipo di realtà tuo figlio ti mette davanti a certe cose, che hai bisogno di affrontare e non puoi scappare.” Fedra nel podcast Oplà, ci suggerisce l’assunzione di un importante compito educativo da parte della scuola: “I bambini sono un’occasione per guardarsi dentro, promuoviamo quindi l’importanza di un percorso di crescita personale per tutti gli adulti di riferimento, sia genitori che educatori, i quali possono fungere da facilitatori del cambiamento, in un processo di accoglienza e accettazione del nucleo famigliare come esso è.” Così la scuola in primis e altre realtà aggregative e formative possono assumersi il compito di restare in relazione, perché “l’applicazione di una conoscenza è la parte più impegnativa dell’apprendimento ed in questa fase non è bene restare da soli”, come ci dice Liza nel podcast del Parco della gratitudine.
Spesso i genitori si sentono soli nel loro compito educativo e gli insegnanti si lamentano che i genitori non sono coinvolti nelle proposte della scuola: ma cosa stanno realmente facendo entrambi per promuovere questa relazione? La storia dell’uomo la stiamo creando insieme, adesso, con il nostro comportamento, con le nostre scelte, con le nostre aperture o chiusure, coi nostri progetti educativi comuni, con la nostra disponibilità alla relazione: cosa aspettiamo per ritornare ad aggregarci, ad essere e fare comunità? Il permesso dalla politica, dalla scienza, dalla cultura? Forse non arriveranno…
Michela Calvelli
Ascolta i podcast:
PARCO DELLA GRATITUDINE_Una scuola parentale assistita e capovolta
OPLA’_Una scuola che parte dalla felicità del bambino
LILLIPUT_Scuole che navigano in mari sconosciuti